Caro Messina, sopravvivere non basta: è il momento di crescere

Pubblicato il 15 Maggio 2023 in Primo Piano

Quel gol di Ragusa. La rete del messinese con la fascia al braccio non può e non deve essere un punto di arrivo. Al contrario, quel piede allungato per insaccare il pallone della salvezza deve rappresentare il primo passo per il futuro del Messina. Il punto di una partenza che deve iniziare subito.

IL PRESIDENTE IN TESTA – La premessa è d’obbligo, la garanzia per il futuro del club giallorosso è legata a un solo nome: Pietro Sciotto. Ci arriveremo, non prima di qualche passo nel passato recente per comprendere quale sia stato il cammino affastellato di nonsenso che ha portato il Messina a una salvezza strappata nell’ultima parte dell’ultima partita possibile. Premettere che la garanzia futura sia Sciotto non esclude che il filo comune che lega le carenze del Messina sia lo stesso presidente. No, non è questo il luogo della caccia al colpevole da punire per quella strana attrazione verso liste di buoni e cattivi. La lucidità deve imporci di considerare l’intero pacchetto come insufficiente dopo due stagioni con salvezze arrivate in mezzo a un delirio comportamentale che abbatterebbe qualsiasi passione. Immanuel Kant ci viene sempre in aiuto – nella vita – e ci consiglia, con la sua “Metafisica dei costumi”, che i nostri massimi comportamentali debbano rispettare i limiti della sopportazione sociale altrui. I limiti della tifoseria del Messina sono stati ampiamente non rispettati e non tanto per il mero risultato sportivo, perché nessuno è talmente immaturo da non comprendere che nello sport esiste una vittoria e una sconfitta. Come sempre è il modo a fare la differenza. La salvezza del Messina non è coincisa con una festa cittadina calorosa, non per distacco ma per un sano bagno di realtà che la tifoseria aveva compiuto già da settimane. Ovvio, l’aspetto emotivo di una vittoria arrivata in maniera tanto eccitante non poteva essere sopito. Abbracci, sospiri di sollievo, ma dalle ore successive al fischio finale sono tanti a porsi la stessa domanda: e adesso? Messina appare stanca di dover assistere a valzer decisionali dall’esito tirato fino all’ultimo istante. Quanto accaduto lo scorso anno non sarebbe più accettabile, con un’iscrizione annunciata – in maniera fin troppo cinematografica – solo a poche ore dalla scadenza dei termini. Da aprile a giugno senza una comunicazione sana, senza capire cosa sarebbe stato. No, non potrà essere così e non ci sarà la stessa paziente attesa. I tempi sono già stretti e non si dovrebbe nemmeno discutere della possibilità di iscrizione o meno. Come detto, però, la garanzia si chiama Pietro Sciotto ed è lo stesso presidente l’uomo delle risposte. La Licenza Nazionale per la partecipazione alla stagione 2023/24 deve arrivare entro il 20 giugno, data finale di un percorso che inizia già in questi giorni. Il tempo, quindi, non è infinito ma contenuto in appena 35 giorni. Le strategie, allora, non potranno essere accompagnate da attese e notti di riflessione. Il lavoro deve già essere iperattivo.

INTERCONNESSI – Oltre alla teatralità della modalità di iscrizione, l’estate dello scorso anno è stata anche quella della progettazione errata. I primi segnali erano arrivati dall’ulteriore tempo fatto trascorrere dall’annuncio dell’iscrizione ai primi contratti firmati. Da Manfredi confermato nel ruolo di direttore generale a quello di Pitino in sella come ds. Da lui è arrivato l’ingaggio di Auteri – di conseguenza quell’insufficiente primo gruppo di calciatori -, ma tutti sono figli di una scelta precisa da parte del presidente Sciotto. Attenzione, nessuno potrà mai smentire la forte influenza del dg Manfredi sulla strategia tecnica da adottare, ma allo stesso tempo in casa Sciotto l’ultima parola – nelle scelte importanti e non nelle bagattelle quotidiane (che i responsabili in casa Messina, spesso, non sono capaci di gestire) – resta di Sciotto. Invertire questa dinamica è possibile solo in un metaverso non ancora esistente. Cosa che, comunque, non assolve Manfredi dalle proprie responsabilità. Il suo posto dovrebbe diventare presto vacante, perché sulla necessità dell’azzeramento dell’intero organigramma gestionale abbiamo già scritto nei mesi scorsi. Quello non è un punto in discussione, ma raccontare una realtà in cui l’anima nera del Messina possa essere riassunta in un solo profilo non è sano. Come detto in precedenza, infatti, non serve proprio a nulla proporre una lista di buoni e cattivi per sperare in un Messina migliore. No, per un club che si muova su prospettive diverse occorre un’intera visione di futuro utile per rifondare ogni singolo aspetto di questa società. Lello Manfredi è diventato fumo negli occhi per gran parte della tifoseria: “l’uomo dei concerti”, come se questi eventi siano stati imposti alla città di Messina. Al contrario, perché è il Comune – come tutti gli enti che tendono a cercare di valorizzare il territorio – ad anelare la possibilità di ospitare eventi di grande richiamo. Resta palese, infatti, che anche senza il suo ruolo come dg del Messina la città avrebbe provato – e riuscito – ad organizzare appuntamenti tanto attrattivi come le esibizioni estive di Tiziano Ferro o dei Pinguini Tattici Nucleari. Lo dice il percorso di un’amministrazione che sta sommando partecipazioni e collaborazioni per tutti i prossimi mesi. Masterchef, RDS, Radio 105 e altri eventi che si svolgeranno sul territorio. Insomma, la visione calciocentrica deve lasciare spazio alla smania dell’amministrazione a guida Federico Basile di coinvolgere Messina nel bailamme dell’intrattenimento più mondano. Ovvio, in ballo ci sono le modalità di organizzazione che non sembrano essere interessate ai passi necessari per il futuro del Messina inteso come utilizzo di un San Filippo in condizioni non pietose. Non per malafede, ma proprio per una scala di priorità amministrative che vedono il calcio come un orpello folkloristico e non di più. Quanto possa incidere il Manfredi di turno su questo aspetto non è dato sapersi. Probabilmente poco, anche perché il concessionario dello stadio resta lo stesso Comune di Messina, per cui il club ha una voce in capitolo quasi soffocata (ma sperare che sia stata almeno tentata una piccola protesta resta lecito). Anche per scelta, dato che si è preferito accettare la gestione comunale affidata alla Messina Servizi anziché abbozzare un accordo di concessione. Nelle medesime date dei concerti di Messina gli stessi artisti citati si esibiranno in altri stadi (Pinguini Tattici Nucleari al San Nicola di Bari il 27 luglio). Buon per le società di quelle città che i loro terreni di gioco non necessitino di profondi lavori. Per avere la botte piena e tutti ubriachi e felici si sarebbero dovuti programmare per tempo i lavori di manutenzione. Campa cavallo… le mancate proteste del club, però, non devono essere riassunte – come detto – ai biechi interessi del colpevole di turno. I pezzi del puzzle dovrebbero suggerire quanto i personaggi in questione non siano in cerca di autore, ma abbiano un filo comune a legarli: Cateno De Luca. No, non stiamo scadendo nel complottismo o nell’analisi politica, non abbiamo citato “the man behind the curtain” scoperchiando chissà che pentolone. Certamente non ci sono attacchi a questa o quella fazione, ma solo la banale constatazione che le anime citate siano tutte collegate tra loro dall’ex sindaco di Messina. Nessuna sorpresa o chissà che notizia, solo fatti noti e lecite alleanze e appartenenze politiche nate nell’ultimo anno. Insomma, la crescita del Messina in alcune sue precise carenze strutturali deve coinvolgere più parti e sommare più piani. Dalla proprietà all’amministrazione, senza possibilità di sunto drammatico da scaricare su un singolo soggetto.

TOCCA ALL’AMMINISTRAZIONE – Un quadro politico-gestionale che non va messo da parte pensando solo al semplice rotolare della sfera. No, tutto è collegato e figlio di mancanze vecchie di anni e che vedono responsabili protagonisti precedenti agli attuali. Pietro Lo Monaco denunciava di giocare al San Filippo senza lo straccio di un accordo con la giunta Accorinti, solo per citare uno degli ultimi grandi dissidi tra contrari degli ultimi anni. La mediocrità del calcio messinese non è frutto della sola scelta errata di questo o quell’allenatore, oppure di quel giocatore che funzionava altrove e non in riva allo Stretto. No, perché il Messina di Sciotto avrà mille difetti ma è stato vittima di odissee perenni per ricercare una sede di allenamento consona. Torna la connessione tra le parti: i lavori al Giovanni Celeste non si sa bene cosa daranno per quanto riguarda una base strategica da concedere al Messina, ma nel frattempo? Questo è uno dei temi che resta sul piatto e che Federico Basile dovrà poter chiarire. Lecito, allora, pensare che alla proprietà convenga appoggiarsi in provincia dove le strutture sono esistenti. Squadra lontana dalla piazza? Lo è stata pur allenandosi alla Cittadella universitaria per precise volontà paranoiche di chi guidava una squadra che nessuno doveva scoprire mediocre già a luglio. Aspetti tecnici su cui tornare, intanto resta evidente come i primi e concreti problemi del Messina siano di carattere strutturale e del tutto indipendenti dalla sola proprietà. Senza una programmazione immediata e concreta dell’amministrazione comunale ci troveremo a metà della prossima stagione a raccontare di un Messina che si allena un po’ a zonzo per la città e di un San Filippo diffidato dalla Lega Pro e dalle società avversarie. Priorità per cui il Comune di Messina dovrebbe già essere al lavoro, ma che rischiano di diventare emergenze sorprendenti da un giorno all’altro. Peccato, però, che siano denunciate da anni. Decenni. Aspetti che rientrano anche in un altro argomento sempre vivo in questi periodi: la cessione della società. Ecco, ci siamo quasi a Sciotto garanzia per tutti. Prima di questo, però, potremmo anche fare un esempio quasi cretino: poniamo il caso che domattina Al-Khelaïfi, il presidente del Paris Saint Germain, stanco della pioggia parigina voglia differenziare gli investimenti del gruppo che rappresenta e godersi lo scirocco dello Stretto. Cosa avrebbe da offrire la città di Messina per metterlo nelle condizioni di lavorare al meglio per il club? Ecco, già si sentono le voci di quelli che dicono: “Se arriva lo sceicco il centro sportivo lo costruisce in due ore”, probabile ma esiste sempre la destinazione d’uso dei terreni e altre amenità burocratiche… chissà perché questi soggetti investono tutti lontano dall’Italia fatta eccezione per un modello esportabile dal punto di vista gestionale come quello del City Group ora al Palermo. Andando oltre lo stupido esempio, ma un eventuale compratore da cosa dovrebbe essere attratto se il Messina non gode nemmeno di un campo di allenamento?

POCO TEMPO – Stiamo entrando nella zappato. L’appunto facile sarebbe: “Chi vuole il Messina se lo prende e non certo per i campi di allenamento”. Ovvio e scontato, ma se nessuno di davvero concreto e serio si è affacciato alla porta di Sciotto in anni in cui il club è stato sul mercato anche alla simbolica cifra di un euro, forse, due domande dovremmo farcele. Troppo facile puntare il dito e pensare che dipenda solo dall’umoralità di Sciotto. Chiaro, il presidente ha una precisa valutazione del club e non ha mai avuto intenzione di svendere non rispettando i suoi parametri. Che, probabilmente, restavano discutibili ma si tratta pur sempre di casa sua. La questione delle strutture che disincentivano non è capzioso, perché un investitore serio – almeno nella visione utopistica che stiamo mettendo sul piatto – queste domande deve porsele. Deve farsi venire il dubbio se acquistare una società che presenta decine di problemi correlati che andrebbero poi risolti tramite nuovi accordi con la politica o con bandi pubblici al momento non all’orizzonte. E non ci vorrebbero, poi, trequarti d’ora per stilarli e pubblicarli. Diffideremmo di più, infatti, di chi fosse interessato alla squadra a prescindere da tutto. Ma il Messina ha una garanzia: Pietro Sciotto. Sì, perché se il presidente in questi anni non ha ceduto non è solo per la sua egocentrica volontà di restare in sella anche in barba ai tanti investimenti che non hanno avuto il piacere del risultato sportivo. No, se Sciotto non ha ceduto al primo che è passato senza lasciare traccia è stato anche perché il Messina per lui è una cosa seria. Questo servirebbe a chi vuol comprare il club: far capire che si tratterebbe di una cosa seria. Pietro Sciotto ha trovato parecchie sbandate in questo percorso, ma a fronte di esiti sportivi inferiori alle sue attese è stato presidente immacolato in un mondo di punti di penalizzazioni e ricorsi alla Covisoc. Non che sia una medaglia d’oro zecchino, dovrebbe essere la normalità ma se la Viterbese è finita in Serie D non è solo per i punti non fatti sul campo. Per fare un esempio. Questo, però, non può diventare l’unico punto di forza di Sciotto. Come non si può sempre scadere nella retorica trita che dopo di lui ci sarebbe obbligatoriamente un lestofante. No, perché non è automatico e – come detto – la garanzia resta proprio Sciotto. Se un’offerta considerata seria dovesse arrivare, infatti, questa proprietà sarebbe in grado – anche per una concreta esperienza imprenditoriale – di soppesarla e valutarla, per il bene del Messina e anche dei conti di famiglia. La questione valutazione del club rientra in un altro filone da analizzare, ma di fronte a un interlocutore solido è certo che il presidente Sciotto farebbe prevalere il buonsenso. Su queste pagine non avete letto di offerte, non perché qualche mail non sia arrivata ma per una precisa scelta editoriale e perché è tempo che chi vuole – o vorrà – il Messina lo faccia nella maniera più specchiata possibile. Quando si tratta di affari del genere un giusto riserbo è ben visto, ma c’è sempre differenza tra l’esporsi mediaticamente per forzare la mano – pur avendo le proprie vuote – e farlo per mostrarsi, presentarsi e raccontare la propria idea per il futuro del club che interessa. Insomma, che il Milan sarebbe finito a RedBird non si è scoperto a carte firmate, non è il caso, quindi, di pensare che il Messina debba essere ceduto – sempre che Sciotto voglia – dopo incontri di tipo carbonaro. Ma Sciotto che vuol fare? Al fischio finale della gara vinta contro la Gelbison in tanti si sono avvicinati, qualcuno ha strappato una battuta, altri visto una faccia felice ma tirata per le modalità. Qualche parola amara è sfuggita, anche qualche commento social – sulla nostra pagina Facebook sono stati due, ma forse figli dell’emotività per qualche allusione non elegante ricevuta -. Indizi che suggeriscono che questo finale abbia svuotato di energie il presidente. Lecito, ma il tempo per riflettere non c’è. Chiudiamo il cerchio di questo lungo sproloquio e torniamo alle tempistiche: il Messina deve dire oggi – non domani – cosa vorrà fare del proprio futuro. Le pratiche per l’iscrizione devono essere processate nelle prossime settimane, poi va programmata una stagione sportiva. Non sarà la proprietà Sciotto a doverlo fare? Questa è una scelta che deve ricadere esclusivamente su Pietro Sciotto, ma deve decidere subito. Non per mettere fretta all’uomo, ma il presidente è consapevole che, a volte, il tempo nel calcio – e nella vita – fa presto a trasformarsi da alleato ad avversario.

L’ASPETTO SPORTIVO – L’appendice tecnica è necessaria. Il finale di stagione non è stato tra i più sereni e sicuramente la salvezza non potrà cancellare alcuni dissidi personali nati nelle ultime settimane. Il tecnico Raciti ha allontanato i discorsi sul futuro sottolineando di essere stato richiamato per ottenere la salvezza, l’unico accenno è stato il consiglio di non smantellare nuovamente il gruppo costruito. Una rosa riscritta da un ds Logiudice che nel post gara ha preferito non parlare, che forse lo farà nei prossimi giorni ma che già in stagione – nella conferenza post Messina-Foggia – aveva voluto mettere in chiaro la distanza tra la parte meramente sportiva e quella dirigenziale (proprietà inclusa). Le parole sono state dette e capite da una piazza che non ha l’anello al naso. Non era forse il tempo giusto, ma il ds volle alzare un muro davanti a una squadra in evidente calo. Chiarendo, anche, che alcune difficoltà erano figlie di modalità di gestione lontane dalla sua visione. Un tema che ritorna e che inchioda alle proprie responsabilità sia Sciotto che Manfredi. Che si possa ripartire da Raciti e Logiudice non solo non è scontato, ma al momento non è mai stato messo al centro della discussione. “C’era da salvarsi”, direte voi, ma se hai tra le mani un collaboratore di specchiate capacità provi a blindarlo. Magari non è un piacere reciproco oppure prende forma l’idea di passare la mano e questi aspetti vanno lasciati ai successori. Seconda opzione che non è neanche una vera opzione al momento, così restiamo nell’ambito del distacco figlio di questi mesi di lavoro fianco a fianco. Parti che si sono allontanate con l’apoteosi arrivata a Taranto e tutto quel codazzo avvelenante. Raciti ha archiviato tutto come un equivoco e ha deciso di finire quello che aveva cominciato. Riuscendoci ancora una volta. Il parco calciatori è un mostro strano: tanti prestiti e alcuni non meritano conferma. Altri vedranno i loro contratti scadere a giugno e in questi mesi di telefonate da altre squadre ne hanno ricevute. Kragl vanta un accordo fino al 2024 ma il suo ultimo post social ha aperto a qualche dubbio, ma magari è stato tradito da una formula in italiano con cui ha meno confidenza rispetto al tedesco. La base da cui ripartire c’è, come c’è la base per lasciare a un eventuale successore l’eredità di una squadra con potenzialità. Come per il resto del discorso, però, è il tempo a diventare la variabile da non sottovalutare. Bisogna agire subito e non solo per andare avanti. Quello non basta più, non accontenterà più nessuno. È il momento di crescere, davvero.

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