Il mediocre copia, il genio ruba: il calcio secondo De Zerbi

Pubblicato il 28 Ottobre 2015 in Tattica

Luis Enrique o Pep Guardiola? Nella parte blaugrana di Barcelona – tra un trofeo e l’altro – se lo continuano. Ma se Messi c’era, c’è e ci sarà, da Pep a Lucho è il sistema di gioco a mutare. 4-3-3? Ovviamente. Marchio di fabbrica per chi vuole mettere lo spettacolo davanti al risultato, puntando comunque a esso. L’interpretazione, però, cambia. Messi il “falso nueve”, definizione odiosa se esportata fuori dalla Spagna, ma che faceva capire perfettamente cosa chiedesse Guardiola al suo trio offensivo. Il centrale viene dentro, taglio alternato dei due esterni e terzini che diventano ali, il tutto in salsa tiki taka, ovvero una lentezza nel palleggio con passaggio comodo alla portata e accelerazioni nei 16 metri finali. Con Luis Enrique si cambia, Suarez centravanti e Messi libero di svolazzare tra l’esterno e la linea centrale. Terzini che salgono – non ossessivamente – e giro palla che premia la verticalizzazione lunga. Differenze minime, piccoli accorgimenti dovuti alla prevedibilità incorsa e all’età degli interpreti. Dimenticato Zeman, il 4-3-3 rimane affar loro? Eh no, il 4-3-3 piace e si sperimenta in modo interessante a latitudini lontane dal “Camp Nou”, anzi, proprio dove il boemo ha costruito il suo mito. Andiamo a Foggia, nella provincia pugliese che il bel calcio ce l’ha nel sangue. Gli anni ’90 sono morti e sepolti, Zeman rimane icona ma oggi c’è un altro sperimentatore: c’è Roberto De Zerbi.

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FOGGIA, UNA MACCHINA SPERIMENTALE – Nello scorso torneo il suo Foggia ha stupito anche nei numeri, miglior attacco della Lega Pro con 68 reti, media di 1,66 a partita. In questa stagione poco è cambiato, e nonostante un inizio balbettante, la squadra di De Zerbi resta il miglior attacco del torneo. 4-3-3? NO, 2-3-5! Diamo numeri, penserete. E, invece, siamo lucidissimi. La difesa a 4 è un obbligo, ma dura il tempo di una transizione. A destra e a sinistra non troviamo, propriamente, dei difensori. Ali, pure ali offensive con chiunque altro, ma non con De Zerbi. Stantuffi terribili, la fase di possesso si sposa con l’attacco verticale dell’out, liberato dal taglio interno degli esterni alti (schierati a piede invertito). In mezzo c’è il palleggio verticale e niente “falso nueve”, ma centravanti puro, tecnico e prepotente. Ai centrali difensivi è richiesto coraggio e uno contro uno, in mezzo un regista che ragiona e due intermedi di tocco e di corsa. Il resto? Una batteria di tecnica e velocità. Esterni bassi che attaccano larghi e ricevono in corsa, centravanti con contro-movimento per far uscire un centrale avversario e punte esterne pronte all’incrocio per calciare col piede preferito. C’è l’ossessione del terzino che diventa ala di Guardiola, ma anche il centravanti puro alla Lucho. Cambiano gli interpreti, ma non poi così tanto, al massimo si adeguano alla categoria. De Zerbi, talento inespresso in campo, ha la giusta dose di antipatia e strafottenza: qualità obbligatorie se si vuol diventare un grande allenatore. In più mette bocca ovunque, non si limita ad allenare un gruppo di calciatori. Li sceglie e li plasma, così da poter mettere in scena il suo spettacolo tecnico.

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PAURA E DELIRIO ALLO “ZAC” – Comincia lo show allo “Zaccheria”, il regista davanti alla difesa custodisce la valigetta coi codici segreti. Al suo fianco? Tanta gamba ma che giochi di prima, al terzo tocco scatta la penalità, uno-due e palla scaricata. Sugli esterni il segreto di De Zerbi, Di Chiara o Agostinone a sinistra cambia poco, a destra c’è Angelo. Uomini che tranquillamente potrebbero fare il terzino, l’esterno a 5, il terzo di un tridente e forse anche il portiere. Baricentro basso, gamba e tecnica. Vi ricordano Dani Alves o Jordi Alba? Lo avete detto voi! In avanti c’è l’organizzazione più tecnica. Fintamente, De Zerbi, sembra lasciare tutto all’estro dei suoi. Niente di più falso: se Iemmello viene incontro, ecco liberarsi lo spazio per Floriano, col centravanti che andrà a riattaccare la parte sinistra; Sarno taglia da destra e col suo mancino può inventare e decidere se mettersi in proprio o lavorare per il compagno. Gli intermedi accompagnano, i centrali difensivi accorciano sul regista e il gioco è fatto. Squadra in 30 metri, giro palla continuo e soluzioni prestabilite. Guai a perdere palla, squadra corta che ama il rischio e che deve ancora imparare a scappare come fase difensiva comanda. Forse rischi calcolati, forse errori di crescita e presunzione da parte di De Zerbi. Al centro c’è la tecnica e il gusto del gioco. Per qualcuno è solo Lega Pro, per altri è pura essenza calcistica.

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