Messina, cronaca di uno psicodramma annunciato

Pubblicato il 5 Novembre 2019 in Primo Piano

Era ampiamente prevedibile che lo scontro cittadino facesse saltare il banco da una parte o dall’altra e, alla fine, a soccombere è stata la squadra psicologicamente più fragile.

ALIBI VOLATI VIA – In casa Acr si è così aperta la resa dei conti. La proprietà ha provato, “a caldo”, a rispolverare l’alibi Obbedio. Strategia fragile: le possibili risposte alle accuse degli Sciotto sono innumerevoli, dalla constatazione che il ds l’hanno voluto loro (dopo l’obbligata rinuncia a Ferrigno), al dato di fatto che il budget impegnato è comunque inferiore a quello di almeno altre tre squadre del girone. In più, pur avendo scelto la via del silenzio, l’ex ds ha già avuto modo di esprimere – seppur non pubblicamente – la propria tesi: l’organico è buono, ma non è mai stato allenato. Obbedio ha apertamente ammesso l’errore originario (Cazzarò), mentre non è mai stato d’accordo sulla scelta di Rando. Siccome non avremo mai una controprova, il dibattito è quantomeno sterile. Così come, non avremo mai una controprova rispetto alle accuse del prof. Saffioti, l’ex preparatore. La sua uscita è stata etichettata, da dirigenza e proprietà, come quella di un “capo attore”. Anche questo è un dibattito sterile, conta molto di più il dato che Saffioti ha presentato. A Ragusa una squadra in superiorità numerica ha finito con il correre più di quando si trovava in situazione di 11 contro 11. Problema di preparazione o di tattica?

IL SOLITO COPIONE – Rando e il gruppo Camaro, che le regole del calcio le conoscono bene, hanno capito di essere finiti in un vicolo cieco e hanno – con stile e non certo da “capi attore” – passato la mano. Sciotto ha respinto le dimissioni, ma almeno per quanto riguarda la panchina è un no a tempo determinato. Comunque vada, probabilmente, la colpa più grande di Rando e soci resterà quella di avere offerto una scialuppa di salvataggio alla famiglia Sciotto, quando invece tutto faceva ipotizzare che si andasse, giocoforza, verso un progetto unico che ridimensionava la posizione dell’attuale proprietà. A questo punto della tragicommedia, però, senza più un “capo attore”, restano in scena i guitti (gli attori di secondo ordine). E, fuori dalla metafora teatrale, appare in tutta la sua evidenza quel bubbone che da tre anni tiene il calcio messinese in una condizione di agonia. Gli Sciotto, dentro lo spogliatoio e davanti ai microfoni, hanno esposto il piano con estrema naturalezza: tagliamo gli stipendi e rescindiamo i contratti dei giocatori. Negli anni passati, pur senza la stessa pubblicità e in tempi diversi, avevano fatto lo stesso. Peccato che, a proposito di regole del calcio, che piaccia o no i contratti rappresentano un vincolo. Altrimenti, ragionando su questa linea, i calciatori del Palermo ad esempio sarebbero già dietro la porta del presidente a chiedere un sostanzioso aumento, visto che in due mesi hanno praticamente vinto il campionato. Il tifoso – intendiamoci – ragionerebbe esattamente come gli Sciotto: puniamo i calciatori, mettiamoli al bando, andate a lavorare, ecc.. Ma chi vive e lavora nel mondo del calcio sa bene che si tratta di soluzione improponibile. È da questi atteggiamenti che nasce la nomea di Messina come piazza difficile; è per questo che i procuratori girano alla larga; è per questo che Torma prima e Obbedio poi hanno ammesso di avere ricevuto caterve di no in fase di mercato. Fermo restando che, alla fine, la famiglia Sciotto si è comunque vista costretta a pagare (basti pensare a tutte le vertenze perse). Per carità, ciò non significa assolvere la squadra dalle proprie responsabilità.

FINE DEI GIOCHI – Qualunque siano le scuse accampate, la pochezza vista in queste prime dieci giornate di campionato è allarmante. Tuttavia, che piaccia o meno, a dicembre non si possono mandare via 24 giocatori e farne arrivare altrettanti. Anche perché – siamo sempre lì – per mandarli via devi quantomeno trovargli una sistemazione alternativa. Chiedere, poi, agli stessi giocatori di fare un passo indietro è idea romantica, ma inutile. Certo, la squadra si è pure messa in una posizione di debolezza sottoscrivendo un comunicato (nei giorni dell’esonero di Obbedio) nel quale santificava la società e ammetteva che le condizioni di lavoro erano ideali (salvo poi, dietro le quinte, lamentarsi dell’allenatore). Che questi calciatori, a fine stagione, debbano stare il più lontano possibile da Messina è fuor di dubbio; che si siano dimostrati inadeguati alla categoria pure. Però, questi abbiamo e, per gran parte, questi (e i loro contratti) ci dovremo tenere. Per il tifoso, una sconfitta casalinga come quella di domenica è la fine del mondo, se lo è anche per la società allora tanto vale mettere un punto qui e chiudere bottega subito, perché fare calcio da professionisti (al di là della categoria) è proprio un’altra cosa.

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