Nel 1961 il critico teatrale Martin Esslin tirò fuori il termine “teatro dell’assurdo” nell’analizzare l’evoluzione della drammaturgia di alcuni autori del tempo. Sviluppo applicato del concetto di esistenzialismo, una nuova narrazione dei fatti secondo una non logica temporale ma legati da un filo emozionale.
ORE DI DISORDINATA LUCIDITÀ – Nel melting pot mentale che accompagna la stagione dell’Acr Messina non poteva mancare un pomeriggio di, apparente, psicodramma. La domenica aveva lasciato in eredità una sconfitta atroce e un codazzo di sovrapposizioni emotive di scarso senso logico. La proprietà – avvilita da un fallimento poco comprensibile dopo un’estate di cose fatte bene – entra nel tunnel della risoluzione atomica di contratti e personaggi. Pietro Sciotto vuol tornare al timone e lo mette in chiaro a dirigenza e squadra: i calciatori abbozzano, mortificati dalle pallonate subite dagli avversari. Diverso l’approccio della dirigenza che – con zero voglia di passare per gli unici colpevoli – accetta la rabbia presidenziale e fa un passo indietro. Pasquale Rando non era atteso in sala stampa: arriva per chiedere scusa, perché metterci la faccia lo contraddistingue da sempre, e aggiunge che nessuno resta a dispetto dei santi. Passaggio fondamentale, leggermente passato in cavalleria nel caos sbattuto in prima pagina da Paolo Sciotto qualche attimo prima, passaggio chiave per quello che accadrà nel giro di 48 ore. Dimissioni rigettate, quasi a voler chiarire che l’esagerazione verbale della proprietà è stato un errore e si può ripartire. Rando resta fermo sulla sua posizione e al Despar si chiude in ufficio a fare il suo lavoro, lasciando la deludente squadra a corricchiare e riflettere in solitudine. Il dramma nel dramma – perché farsi mancare qualcosa sarebbe errato – nasce quando la mitomania strisciante prende corpo nel malmostoso web: l’assioma, che in realtà nessuno dotato di senno e pollice opponibile porta avanti, diventa che l’addio dei dirigenti faccia rima con la fine del Messina degli Sciotto. Una follia emotiva e anche puramente folle, perché Sciotto – come logico – si sarebbe rimboccato le maniche formando un nuovo assetto societario. Non serve farlo, non serve perché le ore di lucidità disordinata portano consiglio e la dirigenza trova un terreno meno accidentato di fronte.
IL NUOVO ORDINE – Che le dimissioni di D’Arrigo e Rando fossero irremovibili non è notizia buttata sulla scena per caso; solo una realtà della cronaca. Il mondo, però, è fatto di tempo che scorre col tempo che accoglie nuovi fatti ed evoluzioni; concetto difficile per il becerume volgare e ignorante che popola l’universo. I protagonisti della vicenda seguono lo scorrere del tempo e con esso diventano fautori dell’evoluzione della vita: ennesimo incontro attorno a un tavolo. Proprietà che resta decisa nel voler sforbiciare i contratti folli stipulati con la squadra, allo stesso tempo ribadisce la volontà di farlo con l’assetto societario in essere. La dirigenza ammorbidisce la posizione ma chiarisce più di un punto: tutti confermati, ma il vincitore nel gioco della coerenza è Pasquale Rando. “Mi ero illuso di poter dare una mano”, non è una frase che il tecnico messinese può sprecare; nel momento della dichiarazione l’uomo capisce che il suo intervento non è bastato. Rando non è malato di protagonismo, il suo passo indietro resta concreto (11 punti sul campo sono una medaglia che difficilmente altri avrebbero potuto conquistare). La squadra lo ha deluso, lui ne prende atto e torna dietro la scrivania: dove si era messo, dove voleva stare e dove torna per continuare a dare il suo apporto. Il successore, stavolta, non è qualcuno di distante dalla sua visione: il grande errore fu scegliere Obbedio e accettare Cazzarò, figure troppo distanti dalla filosofia di calcio randiana, i risultati gli hanno dato ragione. La dignità con cui Rando fa un passo indietro, lasciando la panchina a Karel Zeman, ne fanno il protagonista lucido di un copione assurdo.
L’ASSURDO – La morte è un concetto estremo. Definitivo, finale, mette un punto e difficilmente si va a capo. Avvicinare la morte al calcio è un fastidio retorico da rifiutati dell’intelletto: si muore quando si sparisce. Non si muore per un paio di dimissioni – pur mantenendo grande rispetto professionale per la dirigenza giallorossa -, dalle dimissioni non sarebbe passata la fine. Come abbiamo scritto parecchie righe fa, e come ripetiamo, la famiglia Sciotto non avrebbe abbassato la saracinesca per un pomeriggio di caos. Se nulla fosse rientrato tutto sarebbe cambiato, ma nulla sarebbe morto. Non trova pace l’ambiente giallorosso, non ci riesce perché spinto da una pressione di emotiva scarsa lucidità che trasforma tutto in un melodramma. La sconfitta contro il Football Club è diventata azzerante per via dell’avversario, inutile credere che se fosse stato il Savoia o il Giugliano a rifilare un tris a Crucitti e compagni si sarebbe giunti a tanto. Il Messina crolla sotto la sua emotività, svantaggiata dall’avvilimento di chi segue nella disperata ricerca di una nuova rinascita. Tre giorni assurdi per le colossali conseguenze, o meglio per i passaggi che hanno poi portato a un finale non così estremo. Il Messina ha fatto il giro largo – e melodrammatico – per giungere a quello che Rando in primis aveva in mente già dal suo insediamento. Torna la lucidità di Rando a farla da padrone, perché l’ormai ex tecnico lo aveva detto nel post partita che il suo ruolo sarebbe stato utile fino a dicembre, il momento in cui tirare le somme. Le somme vengono tirate subito, e la logica vuole che un nuovo ds (Martello più di altri al momento, ma quello che è vero a mezzogiorno diventa passato alle 13) sia pronto a rimodellare la rosa da affidare a un tecnico dalle idee chiare e da esaltare con calciatori dalle caratteristiche precise. Domenica si va a Corigliano, nel paradosso dell’assurdo una vittoria potrebbe portare il Messina in zona playoff, per la prima volta in stagione e nel momento più incredibile.