Il tempo delle imprese è finito. Per troppo tempo ogni vittoria del Messina è stata pompata dentro un’aura di eccezionalità evidentemente connessa a una situazione societaria allo sbando. Soprattutto nell’ultimissimo periodo dell’era Stracuzzi, quando agli ormai noti problemi strutturali si è sommata la delicata questione finanziaria, sfociata nel mancato pagamento degli stipendi a staff tecnico e calciatori. “Miracolo sportivo” e “impresa” sono le targhette incollate sulle quattro vittorie interne consecutive centrate dal Messina contro Vibonese, Reggina, Juve Stabia e Catanzaro. Successi fondamentali, obiettivamente “eccezionali” per il contesto dentro il quale sono maturate. Poi la marcia verso il cantiere e i tira e molla finali di una proprietà bipolare che ha giocato per troppo tempo con svariati mazzi di carte prima di abbandonare il tavolo. Passi la disfatta interna col Catania, perché sul piano della produzione offensiva il Messina ha surclassato l’avversario prima di incappare in quei venti minuti sportivamente tragici. Troppo sciupio, vero, ma il manuale del calcio è roba complessa e quindi a tratti incalcolabile: il destino ha voltato le spalle ai giallorossi, che hanno avuto il demerito di implodere nei passaggi chiave della sfida, gettandola alle ortiche.
NESSUNA IMPRESA – Arriva il Monopoli e Lucarelli nel sermone della vigilia ha scelto di predicare attenzione, per evitare cali di tensione e per tenere la truppa sugli attenti. Ne ha piena coscienza, il tecnico, ma lo ha appena sussurrato: oggi, piaccia o meno, sul groppone del Messina cade il peso della vittoria obbligata, incondizionata. Qualsiasi altro esito, non sarebbe ammissibile in considerazione della ghiotta occasione offerta dalla possibilità di affrontare una diretta concorrente per la salvezza tra le mura amiche. Aspetto, quest’ultimo, a cui ieri, nel corso della conferenza pre-gara, è stato dato un taglio “invertito”: il Monopoli fuori casa si esprime meglio, come certificano i punti incasellati lontano dal Veneziani. Come negarlo, ma al rovescio della medaglia il Messina al San Filippo ha raccolto qualcosa come 22 punti sui 27 totali: un’enormità, dipende solo da quale prospettiva si vuole interpretare la gara di oggi. Messina-Monopoli è un treno da prendere: per chi scrive non ci sono gli elementi per definire la sfida un appuntamento da “allarme rosso”, ma è comprensibile che lo abbia fatto Lucarelli, chiaramente ossessionato da quello che lui stesso ha definito “rischio appagamento”.
DUBBI – I presupposti sembrano esserci tutti. Il club in pochi giorni ha iniziato ad assumere la fisionomia di una struttura gestionale professionistica. Il clima è decisamente più sereno e l’infermeria – Plasmati a parte – è ormai una stanza vuota. Lucarelli ha l’imbarazzo della scelta, ma è probabile che punti sulle certezze sin qui maturate. Il dubbio vero è legato alla pedina da affiancare a Rea al centro della difesa: Bruno o Maccarrone? Per il resto la linea a 4 disegnata davanti a Berardi verrà completata dagli intoccabili Grifoni e De Vito, padroni indiscussi delle corsie basse. In mezzo spazio a Musacci, nonostante un piccolo problema al piede. Ai suoi fianchi agiranno Foresta e Sanseverino, con Mancini vertice alto del rombo. Davanti conferma in blocco per la coppia Milinkovic-Anastasi. Ai due terminali offensivi toccherà spostare nettamente verso l’alto il livello delle giocate e quindi d’impatto mentale sulla gara, ma soprattutto sugli episodi chiave. Quelli che poi, alla fine, spostano l’esito delle partite. Gli stessi che domenica scorsa hanno decretato la sconfitta del Messina.