Parisi, salto nel passato. “Lo Monaco? Una gestione senza futuro”
Pubblicato il 13 Ottobre 2015 in Primo Piano
Oggi è il giorno di Alessandro Parisi, tornato a ruggire dopo avere attraversato un tunnel di silenzi e di riflessioni amare. Un fiume in piena, che ha straripato nella sala stampa del San Filippo, in quella conferenza che stamattina ha sancito la sua rinascita. Di uomo, prima che di calciatore. Tante parole che tradivano un’emozione che per poco non sfociava in pianto. Uno sguardo al futuro e una serie di tuffi all’indietro. Anche verso il passato più recente. Parisi ha vissuto più di un anno legando la sua immagine alla squadra di calcio della città, passata di mano in estate, da Lo Monaco a Stracuzzi. Ha vissuto da dentro l’annus horribilis sfociato nella retrocessione del Messina, e poi nel passaggio di consegne della proprietà.
PARISI E IL MESSINA DI LO MONACO – Stava accanto alla squadra, Parisi. Si allenava e progettava il suo ritorno. Ha sofferto dietro le quinte di un palcoscenico che poi è sprofondato. Soffriva e osservava. E della gestione Lo Monaco, alla fine, si è fatto un’idea precisa: “Una stagione che ho vissuto male. Normale, quando ti accorgi che le cose non vanno bene, nonostante qualcuno volesse raddrizzare la situazione. Però non bastava, perché non c’era unità d’intenti, non c’era armonia, a volte non c’era fiducia tra le parti. Io mi allenavo e osservavo. Mi accorgevo che c’erano tante, troppe difficoltà, troppi punti di vista diversi. E quando non si rema tutti dalla stessa parte, quando non si fa qualcosa per migliorare, ogni giorno, non puoi avere futuro”.
QUEL RISCHIO SCONGIURATO – Una questione generale, ma anche personale. Il neo difensore del Messina si guardava attorno preoccupato. Per il Messina, certo, ma anche per i suoi orizzonti: “Temevo che i risultati negativi potessero anche cancellare il mio desiderio di tornare a giocare. Ero consapevole che quel modo di gestire non avrebbe portato a nulla”. E poi un messaggio chiaro, che è anche un monito per il futuro del calcio a Messina: “Chi come me vive in questa città, non può permettersi di lavorare in quel modo lì. Ogni giorno devi confrontarti con migliaia di persone. Con le quali, di certo, non puoi fare figure di …”