Cristiano Lucarelli si siede sulla panchina del Messina a poche ore da un esordio in Coppa Italia che non scalda i cuori, a farlo è immediatamente il suo approccio a squadra e pubblico. Arriva una vittoria che verrà replicata nella sfida, ben più importante contro la Casertana. Bastano 180 minuti per capire subito il cambio radicale dal punto di vista tattico: il difetto di fabbrica della gestione Marra era la lunghezza, Lucarelli parte proprio dalle distanze tra i reparti. Accorcia le tre linee e chiede ampiezza solo ai due esterni alti, consapevole della fragilità difensiva abbassa il baricentro della squadra per cercare la densità giusta per ritrovare compattezza. Non siamo di fronte alla classica “difesa e contropiede”, infatti il Messina comincia a scoprire trame di calcio offensive differenti dal lancio lungo. Seconde palle da attaccare, interni di centrocampo che accompagnano e giro palla ritmato da un massimo di due tocchi. Casertana battuta, a Taranto arriva un pari che alla luce del cammino dei pugliesi dovrebbe deludere, a farlo certamente sono le uscite con Fidelis e Akragas. Discorso a parte per il Matera: contro i lucani si gioca la partita perfetta sul piano difensivo, quando si riparte sono più bravi i difensori di Auteri che mediocri gli attaccanti di Lucarelli. Messa da parte l’uscita contro il Matera torniamo a Fidelis e Akragas: due sfide da vincere, perché chi ha fame di punti deve vincere e non accontentarsi. Contro i pugliesi, come ampiamente scritto, il Messina soffre la pressione intensa degli uomini di Favarin col tridente Pozzebon-Milinkovic-Madonia che fatica a rimanere attaccato al resto della squadra. Ad Agrigento non c’è nessuna intensità avversaria, la squadra di Lello Di Napoli è intrisa di mediocrità tecnica che ben si sposa con le idee trite e ritrite dell’ex tecnico del Messina. Una regia banale affidata a Pezzella, col solo Salandria capace di interpretare il ruolo di centrocampista in maniera sufficiente. La difesa si è potuta permettere il lusso di escludere Marino, nonostante questo il Messina non ha mai tirato realmente in porta. Troppo facile gettare la croce addosso a Pozzebon e soci, il problema è ben più grave e di risoluzione complicata. Il Messina non ha identità offensiva: al centravanti viene chiesto di gettare la palla in porta, il resto deve venire fuori dalla fantasia di Milinkovic. A complicare i piani di Lucarelli è l’indisposizione di Mancini, calciatore che interpreta il ruolo di interno in maniera unica nella rosa del Messina e che avrebbe potuto rappresentare un’arma importante. Senza di lui il centrocampo è diventato piatto, il solo Foresta non basta tanto che ad Agrigento mister Lucarelli piazza Grifoni interno sinistro per raddoppiare le frecce da inserire. Non basta, non per un problema legato ai singoli ma semplicemente perché il Messina che ha rialzato il muro difensivo è ancora lontano dal processo di normalizzazione della fase offensiva.
SPAZI VUOTI – Entriamo nel dettaglio dopo aver teorizzato: siamo nel primo e noiosissimo tempo di Agrigento, la squadra di Lello Di Napoli ha punto su punizione e con un paio di tiracci che non avrebbero turbato il portiere della formazione Allievi, il Messina riesce a fare di peggio. In blu il trio che sta attaccando l’area: Pozzebon accorcia verso la zona del pallone, Foresta attacca il limite e Milinkovic stringe (finalmente!) la sua posizione. Sarà proprio il franco-serbo a concludere a rete nello sviluppo dell’azione, un colpo di testa velleitario e nulla più. In arancio vediamo come troppa squadra sia sbilanciata a sinistra, tutta attratta dal pallone e non preoccupata di occupare le zone di campo rimaste vuote. Grifoni andrà in azione personale, finalizzatore di una catena mancina funzionale con De Vito e Ferri. La X rossa la usiamo per segnalare quanto campo in zona centrale sia inoccupato, Musacci ha accorciato a sinistra mentre non arriva l’accompagnamento del reparto difensivo che non stringe sulle due linee avanzate. Questo il grosso problema: la ricerca di una squadra corta funziona in fase difensiva, ma non riesce (ancora) nel sviluppo contrario della manovra.
PARTE SECONDA – Continuiamo sul punto, la brutta tendenza del Messina di non occupare il campo nella maniera migliore possibile: Musacci (cerchio verde) riceve sui trenta metri, alza la testa e decide per un calcio in porta da dimenticare. Vediamo però se la scelta è realmente errata: Milinkovic è fuori dall’inquadratura, il numero 10 si trova larghissimo a destra in posizione non opzionabile. Palumbo sta già rinculando, Foresta è basso rispetto alla linea della palla e poi c’è chi attacca l’area: riquadro blu per un trio tutto spostato a sinistra e non a caso. Grifoni e Ferri sono i più attivi, sbagliano il movimento perché nessuno dei due attacca la zona centrale rimanendo troppo larghi. Pozzebon ha battezzato lo spazio, da quella posizione non lo smuove nessuno ma l’assenza di un taglio sul primo palo (triangolo rosso) costringe Musacci a calciare invece che mettere una palla banale e facilmente leggibile in area.
CATENA – Dopo due aspetti negativi eccone uno positivo, o almeno in parte: la catena di sinistra funziona almeno nelle misure e nell’interpretazione, per la concretezza c’è tempo. Frame che anticipa l’affondo di Grifoni fermato dalla scivolata di Thiago Cazè, un pizzico di ritardo in più e sarebbe stato un rigore indiscutibile. Non per questo analizziamo il momento, il nostro interesse è puramente quello di evidenziare il funzionamento del trio mancino. In blu ci sono De Vito, Ferri e Grifoni con questi ultimi due che scambiano il pallone prima dell’affondo in area. De Vito appoggia la manovra, lo fa realmente essendo una concreta opzione di scarico per Ferri. La catena funziona e si muove di insime, il problema è il centro: in rosso c’è Pozzebon, basta. Il solo numero 9 non può essere l’unica arma nel cuore dell’area di rigore avversaria, manca l’appoggio del resto della squadra che non può limitarsi ad accorciare ma deve attaccare l’interno dell’area perché non si può pensare di abbandonare il centravanti in mezzo alla difesa schierata.