Un anno fermo a guardare. Un tempo, forse, lunghissimo, per chi di calcio ci vive. Michele Cazzarò arriva sulla panchina del Messina dopo la sua esperienza fatta in casa: la sua Taranto come coperta di Linus ma anche palestra per pressioni e sviluppo di idee. La sua garanzia? Antonio Obbedio.
L’IDENTITÀ – Non una città facile Taranto anche, e soprattutto, se ci sei nato e cresciuto calcisticamente. In Puglia la tradizione e la fame di categorie maggiori si sentono prepotenti, per Cazzarò il ruolo di riserva di lusso è calzato a pennello solo per l’amore verso la “sua” maglia. Messina rappresenta la svolta, di carriera e personale perché per camminare coi grandi c’è bisogno di raccogliere esperienze, anche pressanti e complicate come quelle di dare, finalmente, lustro alla società degli Sciotto. Il calcio di Cazzarò passa dai numeri ma trova sostanza nell’identità filosofica; qui arriva la prima specifica: il modulo e la tattica di gioco non sono sinonimi. Il modulo sono numeri, un modo per coprire il campo ma come il terreno si copre dipende dalle idee e non dal sistema. Premessa necessaria per conoscere Cazzarò, perché dalle sue modifiche di modulo passa una diversa applicazione di una idea di calcio, però, ben precisa. Possesso atletico e fisico, squadra corta, scivolamenti e tantissima gamba sugli esterni. I gol? Occhio alle seconde palle, perché il trequartista è sempre un nove e mezzo.
REGISTA BASSO – Il primo Cazzarò? Col rombo, perché nella sua Taranto si giocava corti e si palleggiava forte. Il ruolo fondamentale è quello del regista: nel 4-3-1-2 il play basso tira le fila del gioco, nella sua evoluzione si è passati dall’interpretazione classica alla Pirlo, maestro dello smarcamento orizzontale, a quello alla De Rossi (o alla spagnola) col suo pendolo verticale ad andare a occupare lo spazio tra i due centrali. Dal rombo al 3-4-1-2, infatti, la strada è cortissima: abbassi il play, alzi leggermente gli esterni e stringi gli interni ed ecco che il gioco è fatto; quello che diventava un sistema a palla in movimento diventa lo scheletro iniziale. Il motivo? Mosse e contromosse. Il calcio evolve sempre, al regista basso è stato facile mettere una toppa (chiaro che poi la classe individuale vince sempre) con una bella marcatura a uomo che andasse a impedire la ricezione pulita del pallone. Un centrocampista preso a uomo non può andare a cercare spazio tra i due suoi centrali, ecco allora la soluzione, che può valere per Cazzarò o per chiunque si sia applicato in tal senso.
Si allarga il raggio di azione dei laterali diventando una squadra con un maggior sviluppo sugli esterni, il play inizia a suonare dal basso ma non più in solitaria: a centrocampo ci vuole gamba ma anche fosforo, non si può lasciare l’incombenza della costruzione al solo centrale. Dal teorico al pratico: il Messina ha scelto due profili adatti alla soluzione. Il primo è Giordano, difensore centrale di impostazione e visione di gioco, il secondo è Sampietro che in mediana offre la duttilità tanto cara a Cazzarò; l’ex Taranto possiede geometrie ma la fisicità necessaria per un calcio fatto di atletismo. Dal centrocampo passano le idee maggiori di Cazzarò e Obbedio, non a caso due ex del ruolo oltre che coppia perfettamente incastrata ai tempi dei calzoncini corti.
Squadra, fin qui, fisica questo Messina che prende forma ma non può bastare l’imponenza perché nel calcio occorre, infatti, avere confidenza con l’attrezzo rotolante. I giallorossi alzano l’altezza media ma non lesinano sulla tecnica: Giordano e Sampietro già citati, Ott Vale, Crucitti e Esposito sono gli uomini copertina ma la rosa che Obbedio ha in mente resta caratterizzata dal mix fisico-tecnica.
SCIVOLAMENTO – Buone capacità tecniche e potenza atletica, ottime doti che non basteranno visto il lavoro di incastro tattico che Cazzarò sembra avere in mente. La difesa a tre trova svariati interpreti nel calcio moderno: dal modaiolo Gasperini al cavallo di ritorno Antonio Conte, due macro-esempi per comprendere che tipo di identità adotterà il Messina. Gasperini è un estremista del concetto: nel suo Genoa si sperimentò come terzo di destra quel Marco Rossi una volta ala d’attacco; nella sua Atalanta non ci sono registi ma tre calciatori in appoggio della manovra. Toloi, Palomino o Masiello cambia poco, li potete sempre trovare a supporto dello sviluppo offensivo; in difesa? Uno contro uno. Coraggiosa scelta, anche Conte nella sua prima Juventus amava “abbandonare” la BBC alle proprie forze, l’evoluzione arriva al Chelsea. Uomo chiave? Azpilicueta. Avere nei tre centrali un terzino favorisce la modifica in corsa, il famoso “quarto cambio” quello che fai senza pescare dalla panchina. Il mezzo (destro o sinistro) scivola sulla corsia, l’esterno si abbassa e da una difesa a tre ecco magicamente un quattro che può spingere e sovrapporsi. Da un 3-4-1-2 si può passare praticamente a tutto, ma solo per coprire il campo diversamente perché la differenza, lo ripetiamo, viene fatta dalla mentalità che l’allenatore instilla. Tra centrali che scivolano ed esterni che scalano il Messina prende forma: Forte, Fragapane, De Meio o chi dovrà arrivare, non è ancora il momento dei singoli ma le scelte ci aiutano a comprendere verso quali concetti si proverà a tendere. E l’attacco? Interessante, col pericolo numero 10.
CUCIRE I REPARTI – Il colpo di mercato, fin qui, resta Antonio Crucitti: trequartista con il vizio del gol e la fiducia in se stesso. Trascinatore della Cittanovese, già con Cazzarò ai tempi di Taranto. I numeri 10, però, restano quell’affascinante pericolo che il calcio brama. Quando ti affidi, e chi ama giocare deve farlo, al trequartista si abbassa il livello tattico lasciando maggiore spazio a quello del personalismo. Il pallone è anche questo, ben venga quindi questo rischio che, però, sembra ampiamente calcolato se il numero 10 in questione è Crucitti. Nessun eccesso di responsabilità sia chiaro, non per alleggerire la pressione ma perché nelle idee di Cazzarò l’insieme conterà sempre di più. Abbiamo parlato dello sviluppo del gioco dal basso, la scelta del regista difensivo da sommare a quello di centrocampo. Reparti legati dalla tecnica, ma non solo perché con un 3-4-1-2 diventa chiaro come i due interni debbano saper cucire difesa e attacco con una intensità aerobica continua. Squadra corta, in trenta metri, circolazione pulita e strappi limitati per non andare a occupare zone di campo buone invece per la ricezione. Una punta come Esposito pretende qualche cross ben fatto, ma attenzione alle seconde palle perché Crucitti resta capace di attacco dello spazio. Dal rombo alla difesa a tre cambia l’interpretazione del trequartista: col rombo il movimento orizzontale a cercare aria pulita sugli esterni resta essenziale; una difesa a tre, invece, alza i terzini concedendo quindi al trequarti di attaccare verticalmente. Sarà questo il Messina di Cazzarò? Forse, perché la differenza la faranno sempre gli uomini e la loro capacità di trasformare in fatti le idee del tecnico. Sulla carta, e in teoria, sarà interessante vedere muoversi questa proposta di calcio sicuramente offensivo e palleggiato, ma senza dubbio intenso dal punto di vista fisico e cattivissimo da quello agonistico.