Cerignola-Messina, non trovo gli accordi e neanche le parole

Pubblicato il 9 Ottobre 2022 in Primo Piano

Sinfonia senza armonia e mal interpretata, con stonature profonde e confusione nella direzione. Il Messina che crolla a Cerignola è pessimo oltre ogni ragionevole dubbio, tanto che il tempo dell’attesa e della critica edulcorata è finito.

CONFUSIONE – La parte peggiore della gita del Monterisi arriva dopo il fischio finale. In sala stampa, dove Gaetano Auteri (voto 4) fatica a dare una spiegazione sul perché la sua squadra abbia giocato tanto male. Parla di stanchezza dovuta alla sfida di Coppa Italia a Crotone, poi ci riflette per un secondo e si accorge che in campo non c’erano così tanti calciatori impegnati martedì allo Scida. Confusione, forse fisiologica e da ricondurre alla straziante prestazione dei suoi ragazzi. Calderone ampio, però, dove buttar dentro proprio tutti. Non esistono compartimenti stagni, esiste un filo comune che unisce scelte, errori e responsabilità. Il presidente Sciotto ha scelto la via del ridimensionamento economico, da strutturare secondo un taglio dei costi e un aumento dei ricavi legati ai calciatori. Banalizzando, profili giovani e poco cari, più il minutaggio a riempire le casse. Lecito dal punto di vista chi investe, perché – per colpe sempre della proprietà – negli anni scorsi lo sperpero aveva regnato sovrano. In 6 anni di gestione Sciotto, infatti, l’unica stagione filata liscia è stata quella della promozione in Serie C: annata che Sciotto non voleva e poteva bucare, perché le rivali dall’immenso blasone – Bari o Palermo – non c’erano più e perché c’era da vincere una sfida cittadina. Cocchino D’Eboli ebbe carta bianca per traslocare un intero instant team in riva allo Stretto. Prima e dopo solo scelte discutibili, ripensamenti, passi indietro e accuse come se direttori generali, sportivi e allenatori avessero occupato militarmente Giammoro per imporsi nei ruoli cardine del Messina. No, furono semplici errori di valutazione che Sciotto, comunque, riconobbe nel tempo. Il sesto anno stava per non nascere: con il presidente logorato anche dalla mancanza di appeal della sua società sul mercato. In vendita per mesi, ma capace di attirare solo chiacchiere. Il rilancio è arrivato sul fotofinish e solo a patto che il programma economico fosse quello descritto sopra. Affidato a Marcello Pitino, l’uomo che aveva trovato gli uomini giusti lo scorso gennaio. Giocare al revisionismo non serve, come non serve puntare il dito sulla singola figura. Pitino, 9 mesi fa, era considerato – in primis dall’ambiente – il “deus ex machina” della risalita. Oggi – gli stessi – pensano abbia sbagliato tutto. Destino naturale, come quello che toccò ad Argurio, nonostante la parte più consistente dei calciatori capaci di firmare una media punti da playoff nel girone di ritorno fosse frutto del suo lavoro. Calciatori lasciati andare via e in alcuni casi fortemente rimpianti. Insomma, il lavoro di un direttore sportivo per essere giudicato con ragionevolezza va collocato nel tempo e nello spazio giusti. I cordoni della borsa di gennaio erano larghi vista la condizione disperata, quelli di luglio e agosti erano serrati. Pitino ha fatto di necessità virtù in alcuni casi, in altri è andato dietro le sue idee. Scelte che, oggi, il campo sta drammaticamente bocciando. Non ne gli under, spesso più che dignitosi, ma in un pacchetto over sfrontato al punto da permettersi il lusso di essere discontinui in maniera irrefrenabile. Se sul piatto c’è un budget al risparmio non puoi aspettarti chissà cosa, ma se viene anche speso male il disastro è dietro l’angolo. Concorso di colpa.

RENDIMENTO INADEGUATO – Al Monterisi c’è stata una partita, quella che spiega il 4 in pagella di un Auteri che torna al 3-4-3 e finisce per lasciare campo e spazi agli avversari. Pazienza allena una squadra di categoria, che fa giocare senza fronzoli ma con spiccata voglia offensiva. Sainz-Maza è una spina nel fianco, il tridente fa quello che vuole. Messina in balia, perché il centrocampo non filtra e sulle corsie c’è terreno fertile. Versienti e Fazzi non contrastano, lasciando Trasciani e Filì attaccabili. Come Ferrini, che sbanda e affonda. Un discorso che vale per tutti, ma il filo che collega tutto – dalla società al campo – si ferma in attacco: il peggior reparto del Messina. “Gli attaccanti fanno giocare bene le squadre”, vecchio adagio reale del mondo del calcio. I giallorossi, allora, non potranno mai giocare bene. Esagerazione o esasperazione, ma pare reale che il problema che complichi tutto sia l’attacco. A Cerignola il reparto è trasparente, assente, inconcludente. Nessun tiro in porta, nessuna occasione creata, nessun fastidio. Balde è sempre titolare, ad Auteri piace e diventa plausibile pensare che in allenamento faccia meraviglie. In partita no, anzi è irritante all’ennesima potenza quando abbassa la testa e prova a fare tutto da solo. Non fa nulla, nemmeno il solletico. Come Catania, che ama puntare qualsiasi cosa si frapponga tra sé e la porta avversaria: percentuale di successo bassina. Curiale è la ciliegina amara su una torta insapore: che abbia le qualità per diventare decisivo – vedi Giugliano – è indubbio, ma non ha la condizione per esserlo ogni settimana. Calciatore di contorno, da momento. Peccato, però, che la rosa del Messina non abbia alternative. Ecco, torna il filo della costruzione: lo scorso anno Piovaccari impattò alla grande, soprattutto, per il suo peso specifico nello spogliatoio. In campo realizzò solo 2 reti, ma pesantissime. Alle sue spalle c’era, comunque, un centravanti di valore come Andrea Adorante. Costruire una rosa giovane – da minutaggio – con qualche over a fare da chioccia e traino rientra tra le strategie possibili, ma questo Messina è una squadra costruita male. Mancano opzioni in numero e qualità in troppi reparti, dove ci sono calciatori avanti con l’età non ci sono alternative affidabili o già pronte. E le responsabilità sono di tutti: proprietà, dirigenza e staff tecnico. La squadra è naturale conseguenza. E nessun calciatore si senta assolto, le loro colpe sono rivelate e giudicate dal campo.

Daga 5,5: il primo gol è favorito da una sua respinta, ancora una volta, centrale. Per il resto effettua interventi non impossibili.

Trasciani 5: dalla sue parti si balla parecchio, anche per il pochissimo aiuto dei compagni di reparto.

Ferrini 4,5: bevuto da Neglia in occasione del vantaggio, la sua partita è ricca di piccole gravi sbavature.

Filì 5: regge come può, ma non ha il passo per tenere l’uno contro uno con gli attaccanti avversari. (dal 24′ s.t. Napoletano 5: entra per dare la scossa, ma il cambio tattico favorisce il Cerignola che chiude la partita)

Versienti 5: non filtra e non aiuta Trasciani lasciato in balia di Neglia e Sainz-Maza, in fase offensiva è inconcludente. (dal 22′ s.t. Konate 4: il “capolavoro” finale con il rigore concesso al Cerignola dice tutto)

Fiorani 4,5: nervoso, falloso e mai preciso in fase di palleggio. Nel centrocampo a due soffre di più. (dal 34′ s.t. Fofana s.v.)

Marino 5: il Cerignola chiude ogni linea di gioco, lo raddoppia e lui finisce per non incidere.

Fazzi 4,5: in fase difensiva soffre parecchio, in quella offensiva non c’è mai.

Balde 4: chissà che farà mai durante gli allenamenti. In partita è nullo e quel 10 sulla maglia grida vendetta. (dal 22′ s.t. Grillo 4,5: il cambio modulo non ha il tempo di funzionare che il Cerignola raddoppia, lui pensa bene di non farsi mai vedere)

Curiale 4: inesistente, non si discute il professionista ma sembra calciatore da centellinare e sfruttare soltanto nei momenti di miglior forma.

Catania 4: quando crede di poter fare tutto da solo solitamente è una giornata tutta fumo, anzi solo fumo. (dal 34′ s.t. Zuppel s.v.)

CERIGNOLA Saracco sv; Botta 6 (dal 21′ s.t. D’Ausilio 6), Blondett 6, Ligi 6, Russo 6,5; Tascone 6,5, Bianco 6,5 (dal 14′ s.t. Capomaggio 6), Sainz-Maza 7 (dal 41′ s.t. Ruggiero s.v.); Achik 6,5 (dal 22′ s.t. D’Andrea 6,5), Malcore 7, Neglia 7 (dal 21′ s.t. Gonnelli 6). All. Pazienza 7

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