Corner Profile | Marco Fiorani, a lezione dalla vita: di imparare non si smette mai
Pubblicato il 28 Dicembre 2022 in Storie
Stagione con troppe delusioni e nessuna gioia quella del Messina. Note positive pochissime. A salvarsi, per impegno e voglia di lottare, sono stati i più giovani. Un esempio? Un ragazzo di appena 20 anni: Marco Fiorani.
LE ORIGINI – Classe 2002, nato il 21 Marzo a Faenza, comune della provincia di Ravenna in Emilia Romagna e famoso per la produzione della ceramica. Fin da piccolissimo cresce con il pallone tra i piedi iniziando a muovere i primi passi proprio a Faenza, prima della chiamata del Cesena: «Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 6 anni, quando andavo ancora in prima elementare. La Virtus Faenza è stata la mia prima squadra, lì sono stato 3 anni, successivamente – quando avevo 9 anni – il Cesena ha contattato i miei genitori ed ho deciso insieme a loro di accettare». Il professionismo come abbiamo visto nelle scorse puntate di Corner Profile non cade giù dal cielo, per raggiungerlo va intrapreso un cammino tortuoso, fatto di sacrifici e rinunce: «Ogni giorno facevo 40 km di strada in macchina per andare agli allenamenti. Tornavo a casa da scuola, pranzavo il più velocemente possibile e poi direzione Cesena. Questo sport a livello di stress ti mette a dura prova, se non sei forte a livello mentale non puoi fare questo mestiere. Ogni giorno devi sempre dimostrare qualcosa in più, soprattutto se sei giovane». Un percorso che non sarebbe stato possibile intraprendere senza il sostegno della famiglia: «È stata fondamentale, mi hanno aiutato tantissimo. Mio padre mi accompagnava tutti i giorni in macchina a Cesena, sicuramente non è stato facile per lui. Le domeniche mattina avevamo sempre la partitella e io e mio padre partivamo prestissimo da Faenza per arrivare al campo alle 10:00. Ogni settimana c’era sempre una nebbia fittissima e io passavo tutto il viaggio con la paura che potessero rinviare la partita per la poca visibilità. Poi, per fortuna, spuntava sempre il sole». Fin da piccolo Fiorani ha sempre avuto il pallone in testa, nonostante il sano dualismo con un altro sport: «Ho fatto per diversi anni nuoto, i miei genitori spingevano molto per questo sport, soprattutto mio padre che ha frequentato nuoto fino all’età di 18 anni. Io avevo sempre in testa il calcio e quindi ho abbandonato il nuoto, volevo solo giocare a calcio».
GLI ANNI BIANCONERI – Fiorani cresce e si sviluppa calcisticamente nel settore giovanile del Cesena, società romagnola che vede fin da subito le potenzialità del nativo di Faenza: «Ricordo perfettamente il giorno in cui sono venuto a conoscenza dell’interessamento del Cesena. Stavo disputando un torneo amatoriale e mentre uscivo dallo spogliatoio ho visto mio padre parlare con un signore che non avevo mai visto, qualche settimana dopo la mia famiglia mi rivelò che era un osservatore del Cesena e che erano interessati a me». Proprio in quegli anni si modellano le caratteristiche dell’attuale centrocampista giallorosso: «Il mio primo allenatore a Cesena è stato Elvio Sanna (attuale ds del Cesena Femminile), è stato lui a schierarmi in mezzo al campo per la prima volta, da quel momento in poi ho sempre e solo giocato lì». Non una storia a lieto fine quella con il Cesena, complice il fallimento dei bianconeri arrivato nel 2018: «Ho lasciato Cesena dopo 7 anni, è stata un’esperienza bellissima. Ero uno dei ragazzi presenti da più tempo, conoscevo tutti e la società mi voleva bene. Mi sentivo a casa. Come settore giovanile andavamo sempre bene, eravamo molto forti, complice anche un ambiente veramente sano, ci divertivamo tantissimo. Dopo il fallimento della società ho ricevuto un’offerta dal Ravenna in Serie C e ho preferito andare lì». Il destino, a volte, è beffardo e il primo gol tra i professionisti arriva proprio in un Ravenna-Cesena del 6 Novembre 2019: «È stata un’emozione enorme. Si è messo in mezzo per forza il destino anche perché ho fatto un gol assurdo di sinistro in controbalzo all’incrocio. Un gol bello, ma molto fortunato. Se l’avessi ritirata altre 10 volte non penso che sarei riuscito a segnare».
TRACCIA EXTRA – Negli ambienti calcistici si parla oramai molto spesso di tecnologia, tra Var e tempo effettivo. La giovane età di Fiorani non fa rima con eccesso di modernità: «Non mi piace la direzione verso cui sta andando il mondo del calcio, è tutto troppo tecnologico. Per me questo sport è principalmente passione e se mi dovessi mettere nei panni di un giovane esordiente a cui annullano un gol dopo 5 minuti ci rimarrei malissimo, è veramente brutto. Personalmente non condividerei neanche l’introduzione del tempo effettivo, si arriverebbe a vedere partite da 3 ore, non ha senso. Io sono più per il calcio di una volta». Il tema del minutaggio lo abbiamo già affrontato con D’Agostino, portiere over della Gelbison, interessante anche l’opinione di un calciatore under: «Questa regola mi ha aiutato molto, se non ci fosse stata non so se avrei avuto inizialmente tutto questo spazio con Ravenna e Teramo. La regola permette a noi under di sbagliare e crescere». Uno dei momenti peggiori da affrontare per un calciatore – soprattutto se giovane – è la sconfitta: «Dopo una partita persa non parlo con nessuno, allo stesso tempo provo a non pensarci perché quei momenti sono abbastanza pesanti. Provo a mettere le cuffie nel pullman e isolarmi. Dopo qualche ora mi riprendo un po’ e inizio a pensare a cosa sia andato storto. Il giorno dopo mi capita di riguardare la partita per cercare di analizzarla al meglio. I voti in pagella? Certe volte li guardo, soprattutto quando le cose vanno bene. Dopo una sconfitta preferisco evitare, già sto male di mio, se poi mi metto anche a leggere è finita». Un consiglio invece ai giovani che vogliono approcciarsi a questo sport: «Consiglio di darsi del tempo, bisogna sempre crederci, nonostante i momenti difficili. Per esempio, quando avevo 13 anni i miei coetanei erano molto più sviluppati fisicamente e facevo una grande fatica. Questo non mi ha fermato, le difficoltà secondo me ti rendono più forte. Il calcio ti mette continuamente alla prova, l’importante è non mollare mai. È l’unico modo». Dal campo al fuori campo, perché nella vita di un calciatore non c’è solo un pallone che rotola: «Quando non sono in campo sto principalmente a casa, non esco praticamente mai. Il mio mestiere mi impone un comportamento da professionista anche al di fuori del campo. Mangiare sano e riposo. Ogni tanto mi concedo una cena fuori con la mia ragazza. Quando posso guardo la tv, per lo più la sera. Serie preferita? Prison Break». Per un calciatore che si approccia al professionismo da minorenne non è facile gestire il periodo scolastico: «La scuola è un mio punto debole, dalla terza superiore in avanti sono iniziati ad arrivare i primi problemi dovuti al fatto che iniziavo ad allenarmi saltuariamente con la prima squadra, nel quinto anno di superiori ho firmato il mio primo contratto da professionista con il Ravenna e lì è diventato impossibile gestire le due cose. Gli allenamenti erano la mattina e io non potevo saltarli, logisticamente non riuscivo ad andare a scuola, su 6 giorni riuscivo ad andarci 2 volte. Ho deciso di abbandonare anche per stabilità mentale, era ingestibile. Mi è dispiaciuta molto questa situazione e mi da ancora fastidio. Al più presto voglio riuscire a diplomarmi. Non ho rimpianti, perché ho la convinzione che se non avessi lasciato la scuola non avrei giocato titolare in Serie C nel Ravenna e l’anno dopo non mi avrebbe preso l’Ascoli, diciamo che sono felice della scelta che ho fatto». Parole che fanno comprendere un leggero rimorso misto alla convinzione di aver intrapreso la strada giusta. Un mix di sentimenti che torna quando Fiorani riflette sui propri aspetti caratteriali: «Il mio pregio è quello di avere sempre voglia di migliorarmi, cerco sempre di ascoltare e imparare, per me è molto importante. Per quanto riguarda i miei difetti sono una persona troppa attenta a non sbagliare e questo secondo me non va bene perché penso che si debba sbagliare per imparare. Inoltre, soffro tanto se un allenatore magari non si accorge che sto lavorando bene e non mi prende in considerazione, mi dà molto fastidio e spesso reagisco male con me stesso, ci rimango molto male». Forse, può esistere un calciatore senza un mito, ma sicuramente non può esistere senza un modello a cui ispirarsi: «Essendo tifoso della Juventus ammiro – fin da piccolissimo – Vidal e Marchisio. Tra i calciatori attuali guardo molto Tonali, lo spirito che mette in campo ti fa proprio gasare, è fortissimo». Il calcio è, spesso, territorio fertile per falsità o amicizie di comodo. Un argomento delicato, che anche un ragazzo giovane come Fiorani deve imparare a gestire: «Sono una persona molto selettiva, ogni tanto capita – soprattutto quando torno a Faenza – che mi chiedano cose relative al mio percorso calcistico piuttosto che chiedermi come stia io o la mia ragazza. Diciamo che ho tre, quattro amici stretti a cui potrei dire tutto». Classe 2002 e un futuro ancora da scrivere: «Non mi sento per niente realizzato, credo sia anche una fortuna. Non ho la certezza che giocherò a calcio fino ai 36-37 anni, quando avrò una certa stabilità e acquisirò quella sicurezza sarò più tranquillo e potrò dire “Sì, ce l’ho fatta”. Coltivo il sogno di poter giocare, almeno, in Serie B».
MESSINA – Il centrocampista giallorosso durante la nostra chiacchierata ha fatto notare l’assenza di giocatori d’esperienza nel roster messinese, mancanza che ha sia risvolti negativi che positivi: «Mi manca un po’ un punto di riferimento da cui apprendere qualcosa. Questa mancanza, però, mi sta facendo crescere tantissimo sotto il piano della personalità. In campo sono pochissimi i calciatori con esperienza, soprattutto dopo l’infortunio di Camilleri. Il fatto di avere compagni più o meno coetanei mi ha aiutato a farmi sentire di più». Oltre a trovarsi bene con la squadra Fiorani si trova bene anche fuori dal campo a Messina: «Mi piace molto la cucina, ho assaggiato diverse cose. I miei cibi preferiti sono le braciole e le granite, anche se sono veramente pesanti per chi vuol fare vita da atleta (ride, ndr)». Infine, per stemperare un po’ il momento del Messina abbiamo simpaticamente giocato con Fiorani cercando di collegare le caratteristiche di alcuni vini con il carattere di alcuni compagni in giallorosso. Iniziamo dalle bollicine frizzanti del Franciacorta, con quel pizzico di follia che ti porta a pensare fuori dagli schemi: «Potrei farti più di un nome, ma ti direi Trasciani. Lo conosco dall’anno scorso e ci vado d’accordissimo, fuori dal campo fa morire dal ridere, è simpaticissimo». Amarone della Valpolicella, vino completo ed equilibrato: «Roberto Marino, è veramente un ragazzo misurato e tranquillo, sempre calmo». Brunello di Montalcino, icona del buon vino, rappresenta la tradizione: «Non ho dubbi, ti dico Fofana. Lui è immerso nella realtà del Messina. È fortissimo il senso di appartenenza che trasmette, per la squadra e la città. È, indubbiamente, quello più dentro al mondo Messina».