Risolutezza. Il Messina che sbanca Viterbo si scopre squadra vivace, cattiva e pratica. L’impatto di Raciti è devastante con due vittorie consecutive e il ritorno di una redditizia linearità. Una squadra fluida nel gioco e nei movimenti tattici che, adesso, può lottare allo stesso livello delle altre.
UN MESSINA VERO – Rivoluzionare una stagione non è cosa mai semplice. Farlo in poco tempo rende tutto ancora più complicato. Il Messina era chiamato a questo miracolo. Che non è quello della salvezza, ma quello di iscriversi alla possibilità di lottare. Primo passo necessario, perché la squadra costruita da Pitino e guidata da Auteri non sembrava in grado di poter infastidire le concorrenti alla salvezza. Un ultimo che posto che sembrava esito scontato, che oggi viene lasciato anche per la spinta di puntare i posti fuori dalla zona playout. Forse un volo pindarico, ma come Raciti ripete è sempre meglio puntare al massimo per non vivere accompagnati dai rimpianti. Il cambio di passo dei giallorossi è figlio di diversi aspetti: quello tecnico legato al connubio di idee tra Raciti e Cinelli, bravi nell’essere sfrontati senza strafare. Un equilibrio figlio della capacità dei due di intrecciare gli aspetti mentali alle loro affinità tattiche. Quello di un mercato condotto in maniera chirurgica da un Logiudice consapevole di dover immettere esperienza e qualità nel minor tempo possibile. Quello di un presidente Sciotto non rassegnato alla deriva e umile nell’affidarsi a un allenatore non confermato qualche mese fa e un direttore sportivo votato all’autonomia decisionale. Un lavoro non finito, perché gli innesti non possono essere terminati e perché due vittorie non fanno una salvezza. Sono primi passi, sono movimenti necessari per una macchina rimasta senza gomme e carburante. A Viterbo subito in campo i nuovi e non sarebbe potuto essere diversamente. A questa squadra, infatti, servivano titolari e non contorno. Fumagalli essenziale per il suo spirito indomabile e infuocato, mentre Ferrara, Kragl e Perez hanno mostrato aspetti tecnici oltre che di personalità. Inutile scendere nei dettagli dopo una sola partita, ma qualcosa di diverso si è subito notato. I calciatori non giocano da soli, per questo la cosa più interessante del Rocchi resta l’atteggiamento tattico voluto da Raciti.
TATTICAMENTE – Muoversi, muoversi, muoversi. Senza movimento non si gioca a calcio, così il Messina gioca in ampiezza ma senza riferimenti fissi. Un 4-4-2 che si mescola e intreccia, che vuole costruire coi due centrali per poi affidarsi alla regia fresca di Mallamo. Il 2002 è uno dei migliori in campo per atteggiamento e sfrontatezza. Commette un errore quando Berto forza un palleggio, ma è bravo nel non farsi schiacciare da esso. Riparte e guida con una sicurezza che consente a Fofana di pensare alla fase di rottura e ai quattro di attacco di sviluppare gioco. Gli attaccanti fanno giocare bene le squadre, così Perez ci porta a lezione di centravanti quando svaria per trascinare via a turno uno tra Ricci e Riggio. Un movimento che apre all’attacco della profondità di Balde e che libera spazio sulla trequarti buono per Kragl. Ecco, il tedesco è un’arma non convenzionale che Raciti (voto 7,5) sa di dover sfruttare. Muoversi per liberare spazio che Kragl può attaccare per calciare. Nessuna alchimia, solo movimenti semplici e fatti bene. Che funzionano e solo esaltati dall’idea di schierare l’ex Avellino sulla corsia destra così da potersi accentrare per calciare. Fluidità tattica con Catania che non viene vincolato alla corsia che, anzi, deve lasciare per la scalata in avanti di Versienti. Soluzione che aiuta a non concedere campo agli esterni della Viterbese con Berto che si accentra per una difesa più stretta che chiude gli spazi in mezzo. Almeno nelle intenzioni, perché al Rocchi non è tutto rosa e dietro si balla: Berto e Trasciani ci mettono un po’ per prendere le misure al nuovo atteggiamento tattico, mentre Ferrara pare un po’ legato. Sarebbe stato strano il contrario e quello che piace è l’intenzione di non arrendersi agli errori e reagire. Viterbese squadra banalotta, senza reali idee se non quelle di buttare più palloni possibili in area avversaria. Il Messina ci mette un quarto d’ora di troppo per capirlo, ma quando si serra non rischia e concede a Fumagalli di dover tirare fuori un solo grande intervento.
MENTALMENTE – Gli aspetti di campo regalano spunti interessanti, ma tutto viene esaltato dalla ritrovata volontà mentale. Sì, perché la squadra di Auteri non pagava solo una ricerca di calcio non adatta ai protagonisti, ma anche una distanza morale tra guida e rosa. Una rottura figlia di un’erosione prolungata nel tempo, che ha trovato il suo picco massimo nel post Potenza per poi trascinare le due parti per troppe settimane. Quelle che avrebbero potuto regalare qualche punto in più. Rigenerare la mente era uno degli aspetti che Raciti non poteva tralasciare e le prestazioni parlano per lui: quelle di Fofana e Balde le più evidenti, col primo tornato a essere il punto di forza del gioco dei giallorossi. A colpire, però, sono i due ottimi impatti a gara in corso di Konate. L’ex Perugia si è tolto di dosso la voglia di sperimentare di Auteri, ha allontanato quel ruolo di terzino che non si avvicina alle sue corde. È tornato in mezzo per lottare, recuperare palla e smistare corto. Con questi compiti diventa calciatore affidabile, come lo era stato lo scorso anno. Poi, c’è Diego Zuppel: due sponde per due gol – a Viterbo con tanto di lotta fisica col difensore avversario -, ma prima di queste giocate tecniche – che nell’apatia generale delle settimane scorse non sembravano presenti nel suo bagaglio – c’è uno spirito di sicurezza diverso. Un ragazzo che era diventato manifesto della scarsa fiducia di Auteri verso i suoi giovani. Due vittorie che rianimano, ma che restano solo due vittorie in un cammino che dovrà essere in grado di moltiplicarle per trovare punti pesanti per accorciare la classifica. Graduatoria da studiare, perché tra il Messina e la salvezza diretta c’è quasi la stessa distanza che corre tra il Cerignola quarto e la Gelbison quintultima. I pugliesi difficilmente si interesseranno della corsa salvezza, ma i numeri raccontano quanto siano ridotti i valori di almeno 17 delle 20 squadre del girone. Fare punti è possibile contro chiunque, una circostanza che per Fofana e soci era diventata miraggio nella prima metà di stagione. La realtà dice altro. Al Messina il compito di dimostrarlo.
Fumagalli 7: un grande riflesso su Megelaitis nel primo tempo, tempismo sul diagonale di Polidori nella ripresa. In mezzo c’è grinta, spinta emotiva e una pizza da offrire a tutti i compagni.
Berto 5,5: gli errori non sono figli della poca abitudine col ruolo, ma di una leggerezza che diventa negligenza. Il rigore concesso è manifesto. Quando è concentrato al massimo mostra buone qualità.
Trasciani 6: un paio di buchi a inizio partita che influiscono sul voto, poi una crescita generale che porta all’annullamento degli attaccanti avversari.
Ferrara 6: deve prendere le misure, così a inizio gara non manca qualche sbavatura. Poi, prende coraggio e campo finendo per guidare la linea e impostare con meno frettolosità.
Versienti 6: primo tempo complicato perché dalla sua parte la Viterbese spinge parecchio, quando la linea si alza lui gioca d’anticipo e non concede più nulla.
Kragl 7,5: gioca a tutto campo cercando sempre lo spazio per calciare. Ci riesce un paio di volte, ma servono solo per scaldare il piede. Al momento giusto usa il suo mancino devastante per addormentare il pallone nella culla posta sotto l’incrocio. (dal 25′ s.t. Grillo 5,5: entra in una fase di gara in cui c’è da soffrire. Non riesce a tenere alta la palla e fatica a incidere)
Fofana 7: gli avversari provano a saltarlo, lui punta il pallone e lo sradica sempre. Recupera mille palloni, non ne spreca nessuno e trova pure un paio di conclusioni interessanti. Ritrovato.
Mallamo 7: l’uomo a cui è affidato il compito di alzare o abbassare il baricentro della squadra. Non sbaglia un movimento e gioca il pallone sempre a testa alta. Un solo errore nel primo tempo, che arriva per un possesso forzato dell’intera squadra. Basta qualche minuto per scacciarlo via dalla testa e tornare a tessere gioco. (dal 40′ s.t. Marino 6,5: impatto chirurgico per tempismo con un destro che vale il tris, chiude la sfida e spegne la sofferenza)
Catania 7: se giocasse una gara perfetta chiuderebbe con un paio di reti e svariati assist. La capacità di produrre pericoli non è esaltata da una concretezza continua. Nella sua partita, però, ci sono dribbling, superiorità tecnica e la rete che sblocca il match. (dal 24′ s.t. Fiorani 6: forza atletica e volontà in una fase di forte pressione avversaria. Ripulisce un paio di palloni complicati)
Balde 6: si muove con buona capacità di trovare spazi e tempi di gioco. Manca, però, un pizzico di cattiveria agonistica negli ultimi sedici metri. (dal 13′ s.t. Konate 6,5: altro buonissimo impatto e tanta quantità necessaria. Palloni recuperati e duelli vinti per spegnere i laziali. Da un suo break nasce la rete dell’1-3.)
Perez 6,5: a lezione da Leonardo. Interpretazione del ruolo esaltante per movimento, sacrificio e qualità. Si muove tantissimo e porta fuori zona i difensori avversari con i compagni che ne approfittano per attaccare sempre centralmente. (dal 39′ s.t. Zuppel 6: bravissimo a entrare in partita col giusto piglio. Altra sponda decisiva, dopo quella per Fofana della settimana scorsa, quando lotta col suo marcatore e apparecchia per il tris di Marino)
VITERBESE Bisogno 5; Pavlev 5, Ricci 5, Riggio 4,5 (dal 43′ s.t. Kone s.v.), Devetak 5,5; Rodio 5 (dal 10′ s.t. Marotta 6), Megelaitis 5,5, Mungo 5 (dal 21′ s.t. Montaperto 5), D’Uffizi 5,5 (dal 21′ s.t. Rabiu 5); Volpicelli 5, Polidori 5. All. Pesoli 5