Basterebbe fare copia e incolla di quanto scritto dopo la sconfitta contro il Bari e prima della trasferta di Barcellona. Il Messina di Pietro Infantino non è una squadra, poco conta il valore dell’avversario che si trova di fronte. Dalla prima uscita ufficiale in Coppa Italia, proprio contro l’Igea Virtus, alla rovinosa caduta del D’Alcontres il filo comune è una totale mancanza di gioco e identità. Ripetersi è orribile, necessario quando gli errori diventano seriali e il futuro sembra già profumare di rivoluzione. Il Messina che crolla in casa Igea Virtus è, ancora una volta, mal messo in campo e frutto di scelte discutibili non solo tattiche. Insistere sul 3-4-3 è stata una prova di orgoglio e presunzione che Infantino non può permettersi, continuare a non leggere in maniera intelligente la rosa a disposizione rimane misteriosa forma di autodistruzione. La questione tattica tiene banco forse più del dovuto, non è infatti un mero giochi di numeri a far sprofondare il Messina. A mancare è una convinzione generale: pochissimo carattere messo in campo, come se l’unità di intenti non fosse ancora stata trovata. La rosa costruita da Sciotto e Polenta ha il grosso limite di essere nata troppo lentamente, questo non potrà però essere un alibi buono per tutta la stagione. Pietro Infantino non trova giustificazioni plausibili: la condizione fisica o la scarsa sintonia sono scuse che non bastano, il suo Messina non mostra di essere neanche lontanamente una creatura in divenire. Buttare la croce sul solo tecnico, però, sarebbe un vizio di pigrizia analitica: i nomi non bastano, i calciatori non dovranno trovare il salvagente di un allenatore confuso per giustificare prestazioni ampiamente insufficienti. La cattiveria agonistica devono metterla sul piatto loro per primi, i limiti tattici non scuseranno prestazioni mosce e vuote come quelle viste con Bari e Igea Virtus.
TATTICA – Testa e gambe non girano, il pallone men che meno. Alzare il livello delle prestazioni sarà fondamentale, farlo in un contesto di gioco meno limitante una buona variante. Il 3-4-3 non funziona: in fase difensiva la squadra è scollata e non si aiuta, in avanti c’è troppo spazio alla creatività personale. Troppo compassati Porcaro e Cossentino per interpretare una difesa mobile e che deve accettare troppi uomo vs. uomo: manca l’aiuto dei due esterni di centrocampo, il filtro in mezzo non è continuo data la difficoltà nel coprire il cuore del campo da parte dei due interni. Sembrano non essere mai prese in considerazione le caratteristiche fisiche e tecniche dei calciatori, come se bastasse schierarli secondo le proprie idee per farli rendere. Se in difesa uno schieramento sfilacciato si unisce a una scarsa attenzione dei protagonisti, in mezzo al campo il ritornello non cambia. Genevier soffre terribilmente il gioco in linea: pochissime soluzioni di passaggio, troppi strappi in avanti e indietro per sdoppiarsi faticosamente nella doppia fase. Infantino boccia Bossa in coppia col francese, tocca a Biondi dare polmoni alla mediana ma il risultato non cambia. Il problema più evidente sono le distanze: troppo campo da coprire, troppi spazi che si aprono e che non potranno mai essere colmati. Quando i due interni si schiacciano sulla difesa la squadra si spacca: assurdamente alti i due esterni, quasi a pestare i piedi di un tridente troppo innamorato della staticità. Infantino lascia Gambino in panca e lancia un trio veloce, il risultato e l’inconsistenza offensiva. Rabbeni, Petrilli e Arcidiacono vogliono ricevere sui piedi, il movimento senza palla è minimo e quello che doveva essere un tridente senza riferimenti diventa, invece, facilmente leggibile per la difesa avversaria. Il 3-4-3 funziona quando il movimento a fisarmonica è continuo, intenso e soprattutto gli interpreti hanno la doppia fase nelle gambe. Biondi è limitato sia in corsia che in mezzo al campo, l’ex Igea sarebbe il profilo ideale per attaccare il cuore del campo da intermedio. Discorso identico per Cocimano: l’ex capitano dell’Acireale spreca energia sull’esterno, diventa persino terzino quando invece la sua tecnica andrebbe sfruttata come arma di costruzione di gioco. Con Genevier formerebbero un trio interessante. In avanti Gambino non potrà rivivere la noia della panchina, sopratutto quando a sostituirlo sono punte esterne con pochissimi gol nei piedi e in carriera. Arcidiacono e Petrilli possono portare un bottino di reti complementari, la finalizzazione deve essere però compito di un centravanti di sostanza.
CARATTERE – Non si vive di soli numeri. Il modulo è ampiamente errato, sciatto e non adatto ai calciatori a disposizione. Infantino potrà decidere di cedere alle critiche o andare a sbattere contro il muro della presunzione tattica, scelte sue che nessuno potrà contestare dato che il tecnico non si è mai tirato indietro di fronte alle proprie responsabilità. L’analisi, però, sarà spietatamente oggettiva. Discorso identico sul piano caratteriale: Infantino lamenta una squadra molle, troppo distante da quelle da lui allenate in carriera. Giusta autocritica, perché l’allenatore deve essere la benzina nel motore motivazionale. Quello che non deve accadere è il lasciare tutto sulle spalle di Infantino. I calciatori hanno grosse responsabilità: gli errori tecnici sono evidenti, quelli di poca concentrazione i più inammissibili. Messina è piazza esigente ma mai intransigente o troppo pressante. La maglia giallorossa pesa, soprattutto in un campionato di Serie D che questa città vorrebbe vivere come un passaggio rapido. Il blasone è solo un lontano ricordo, sono troppi gli anni passati fuori dai Pro e senza ambizioni anche ai tempi della Serie C. La ricostruzione passa anche dalla creazione di uno spessore caratteriale travolgente. Il Bari rimane più forte, il pericolo è però quello di scoprire che di squadre forti e di maggiore livello di questo Messina ne esistano più di una. L’aspetto mentale non è da mettere in secondo piano, anzi è plausibile che tante formazioni sulla carta inferiori possano supplire e sorprendere grazie a una forza caratteriale che questo Messina non ha mai mostrato.