Alle 18.30 di oggi (venerdì) l’incontro con Stracuzzi per mettere nero su bianco il ritorno che non ti aspetti. Dal cilindro degli svincolati il Messina tira fuori Manuel Mancini, che torna in riva allo Stretto dopo l’esperienza in giallorosso maturata tra gennaio e giugno 2015. In mezzo, per il centrocampista romano, una stagione da titolare inamovibile con la maglia del L’Aquila. Trentatré presenze da titolare nella stagione regolare, sostituito solo in quattro occasioni. Tre reti che diventano quattro se si somma quella – inutile – realizzata nel playout di ritorno contro il Rimini. Numeri da leader di una squadra che però alla fine è sprofondata nel pantano del dilettantismo. Seconda retrocessione consecutiva – sempre ai playout – per il centrocampista scuola Lazio che nella stagione precedente aveva conosciuto l’onta della sconfitta nella finale salvezza in quel derby dello Stretto che sulla sponda siciliana nessuno dimenticherà mai: la Reggina profana il San Filippo e condanna i giallorossi a una sconfitta che in casa con i calabresi mancava da 26 anni. È Serie D, un verdetto in seguito vanificato dalla riammissione del Messina in Lega Pro.
IL PRIMO MANCINI – In quell’occasione Di Costanzo schiera Mancini interno destro in un centrocampo completato dal “play” Izzillo e dall’altro intermedio Nigro. Un’annotazione tattica che non rispolveriamo a caso. L’accoglienza se vogliamo tiepida dell’arrivo di Mancini nel Messina targato Marra, almeno per chi vi scrive, non è legata a questioni scaramantiche ma alla necessità di capire come e dove Mancini verrà impiegato. Nella sua precedente esperienza in giallorosso, il centrocampista che si fregia di aver imparato a calciare osservando scrupolosamente Ivan De La Peña, ha occupato praticamente tutti gli slot della linea mediana. Con il centrocampo a tre, ha agito da interno destro, da interno sinistro e, in un’occasione – Lecce-Messina, 2-1 il finale – anche da play basso. Chi ha vissuto quella stagione, inoltre, senz’altro ricorderà come dall’arrivo di Nello Di Costanzo il Messina nel giro di qualche settimana cambia abito tattico: 4-4-1-1 o classico 4-4-2. Mancini viene sempre schierato largo a sinistra, eccezion fatta per il playout di ritorno, sfida nella quale Di Costanzo si vede obbligato, in virtù della sconfitta subita all’andata, a inventarsi un 4-3-1-2. Mancini, nella sua ultima apparizione al San Filippo, agisce – come detto – da interno destro, prima di essere sostituito da Bonanno.
L’ALTERNATIVA (QUASI) IMPOSSIBILE – Nella passata stagione, Mancini, oltre alla continuità in termine di presenze, ha trovato una dimensione abbastanza netta anche in termini di collocazione in campo. Il tecnico Carlo Perrone lo schierava interno di centrocampo, più a sinistra che a destra, a prescindere dal sistema adottato (4-3-3, 4-4-2, 3-5-2, 3-4-3). In considerazione di ciò, Marra ha evidentemente dato l’ok all’acquisto del centrocampista romano avendo in testa l’idea di piazzarlo interno di centrocampo. L’arrivo di Mancini, inoltre, dovrebbe far definitivamente saltare l’ipotesi del passaggio a una difesa a tre: non sono arrivati dal mercato degli svincolati esterni “puri” capaci di garantire qualità e sostanza in entrambe le fasi di gioco. E inoltre, eccezion fatta per Madonia, le punte a disposizione di Marra – Maniscalchi compreso – hanno tutte caratteristiche da attaccanti esterni perfettamente collocabili in un reparto offensivo con tre interpreti. Difficile, quindi, immaginare il passaggio al 3-5-2.
OVERDOSE DI FOSFORO? – In un ideale centrocampo a tre, con Musacci centrale e il duo Mancini-Foresta al suo fianco, di qualità, obiettivamente, ce ne sarebbe in abbondanza. Diciamolo: in termini puramente “estetici”, in un ideale confronto con il centrocampo della passata stagione non ci sarebbe partita. Nella zona nevralgica del campo, però, non bastano solo piedi buoni: serve corsa, equilibrio, senso del sacrificio, capacità d’interdizione, d’inserimento e di supporto alle corsie (soprattutto in un centrocampo a tre). Servono centimetri e muscoli, anche. Prendi il derby con la Reggina: il 19enne Bangu, il migliore della mediana amaranto, si è imposto puntando esclusivamente sulla struttura fisica e la corsa. Questo è il nodo cruciale, l’oggetto del legittimo dubbio. All’ indiscutibile dinamicità di Foresta, fa da contraltare la struttura fisica non eccelsa dell’ex Crotone: fisico esile distribuito su una superficie di 167 centimetri. Musacci, tra i quattro centrocampisti potenzialmente titolari (Mancini, Capua Foresta e appunto Musacci) è il più alto (180 cm). Mancini, poi, lo conosciamo bene. Ha visione e un destro ben addomesticato. Per rivangare ancora il passato, più simile a Fornito – al netto della differenza di età, con tutto quello che vuol dire avere 11 anni in più di un collega – che a Giorgione. In definitiva, quindi, un centrocampo con qualità in abbondanza e struttura fisica media potenzialmente scarna. Questo vuol dire tutto e niente, sia chiaro, perché il Messina potrebbe elevare esponenzialmente il livello del proprio gioco puntando tutto sul palleggio e la capacità di imporsi. Il campo ci dirà il resto. Adesso la palla passa al tecnico Marra. Se saprà trovare la quadratura, riuscendo a disegnare un centrocampo ben strutturato ed equilibrato, non ci resterà che toglierci il cappello.
*Qui in basso quattro possibili soluzioni tattiche, dalla più probabile alla più suggestiva, per un Messina “ideale” (con Rea pienamente recuperato, quindi non applicabili a stretto giro).