Ci dirà tutto il campo, sabato, a Francavilla Fontana. Prima di allora non verrà proferita parola, perché Cristiano Lucarelli ha preferito saltare a piè pari il tradizionale confronto pre-partita con la stampa. In silenzio per scelta: la versione ufficiale diramata via mail ai giornalisti parla di “motivi organizzativi”, dichiarazione di facciata comprensibile ma evidentemente connessa al periodo nero attraversato dal Messina su ogni fronte. Gestionale. Finanziario. Tecnico. Sfere separate ma iperconnesse, segmenti intrecciati che hanno generato una situazione senza precedenti, producendo livelli di criticità che preoccupano chiunque abbia a cuore le sorti del Messina. Sul terreno dello scontro verbale tra guelfi e ghibellini sono rimasti solo piccoli focolai. Piccoli e irrilevanti. La questione è ormai morta e la sentenza è arrivata inesorabile: chi da tempo denuncia le distorsioni che aleggiano sull’Acr Messina, aveva nei fatti previsto quello che sta accadendo in queste settimane. Sul carro opposto non è rimasto più nessuno, eccetto – per ovvi motivi – i diretti interessati, con al loro fianco qualche coraggioso eroe del cyberspazio che in fondo finge di non vedere quello che sta accadendo sotto i suoi occhi. La mistificazione della realtà può solo produrre danni irreparabili: il progetto Stracuzzi, così come è strutturato, non potrà aspirare a tirarsi fuori dalla sabbie mobili. È tecnicamente in coma irreversibile.
ORECCHIE DA MERCANTE – Domani il presidente proverà a giocarsi il jolly, per poi eventualmente dire sì all’avvocato di origine campana Angelo Massone. L’ultima speranza del presidente del Messina, prima del matrimonio obbligato con un possibile socio evidentemente inviso alla piazza, ha la sagoma enigmatica del facoltoso imprenditore ragusano che sarebbe disposto al Grande Passo, finanche all’acquisizione del 100% del club. A questa ipotesi affascinante, però, è bene dare lo scarso peso che merita ogni ammiccamento iniziale. Per utilizzare lo stile pansessuale del condottiero Lucarelli: altro che petting, siamo ancora a un incrocio di sguardi ambigui tutti da decifrare. Perché in un’operazione di tale portata, un imprenditore serio e strutturato vorrà comunque vederci chiaro: le acquisizioni “al buio”, nella dimensione imprenditoriale pura, sono roba da avventurieri o da sprovveduti. Al netto della reale consistenza di questa “pista”, quindi, servirà tempo, molto tempo. Peccato però che il Messina non possa permettersi atteggiamenti attendisti: deve correre ai ripari e deve farlo presto, perché alla sua porta bussa con sempre maggior insistenza la necessità di iniettare liquidità nelle malconce casse societarie. Da qui l’indolenza della proprietà dinnanzi al curriculum di Massone e al consequenziale malcontento generato dalla possibilità che all’avvocato vengano spalancate le porte del club. “Noi Massone non lo vogliamo” è uno slogan senza soluzione di continuità, un pensiero diffuso, una posizione netta. Ma è sopratutto la scritta che campeggia sullo striscione affisso all’esterno del San Filippo. Messaggio che però, a quanto pare, non ha sortito gli effetti sperati. E non ha sortito gli effetti sperati perché la questione, ci piaccia o meno, viene percepita tra i corridoi del San Filippo come l’ultima ratio prima del tracollo. Nell’immediato, lo scenario è il seguente: o Massone o il buio. Tertium non datur.
PALETTI SGRETOLATI – E Proto? Durante l’ultima conferenza stampa ci è stato spiegato che nella lettera d’intenti messa sul tavolo dall’imprenditore di Troina – e sottoscritta da Stracuzzi – sarebbero stati inseriti “troppi paletti”, tra i quali una sorta di scissione tra debiti che andrebbero a carico del subentrante e debiti che invece resterebbero a carico degli attuali soci. Tra questi, sono stati citati gli stipendi di Marra e Buonocore. Concetto abbastanza nebuloso, che non sta in piedi, perché nella scrittura firmata da Stracuzzi il Gruppo Proto ha manifestato, esplicitandolo chiaramente, l’obbligo di addossarsi tutti gli oneri economici fino al 30 giugno 2017. Quindi investimenti sul mercato, gestione ordinaria e stipendi. Tutti, anche quelli dello staff tecnico silurato lo scorso novembre. Carta canta, ma non è tutto. Nel corso dell’incontro tra stampa e soci Acr si è espressamente sbandierata la necessità di “immettere subito liquidità nelle casse del club” per giustificare il diniego a Proto e contestualmente il “sì” a Massone. Fermi tutti. Proto ha chiesto una quota d’ingresso minima (si è ragionato attorno al 10%; Massone nell’ipotesi d’ingresso più morbida acquisirà il 30%) ma in cambio – Proto, s’intende – avrebbe immesso la liquidità necessaria per far fronte ai costi di gestione totali, in soldoni un preventivo di spesa vicina al mezzo milione di euro, sempre che il Messina – così come è stato riferito dagli attuali proprietari nel corso dell’incontro del 2 gennaio – vanti altrettanti crediti in Lega, cioè 500 mila euro di contributi, perché se così non fosse Proto avrebbe dovuto ulteriormente allargare i cordoni della borsa. Stando così le cose, sul piano della logica lo “sbilanciamento” su Massone non ha alcun fondamento. Perché, quindi, l’offerta del Gruppo Proto è stata rispedita al mittente? Mettiamo ulteriore carne al fuoco: la fideiussione allegata alla domanda d’iscrizione, finalizzata sostanzialmente a garantire gli stipendi dei tesserati, oggi coperta da due beni immobili intestati a Natale Stracuzzi. Autentico cruccio del “capitano”, che giustamente, di fronte all’ipotesi di cedere la gestione totale anche in chiave amministrativa, ha preteso una risposta in tal senso, ricevendo un messaggio inequivocabile, che va nella direzione di una sorta di contro-fideiussione, sottoscritta da Proto, a garanzia di quella intestata dal presidente. Paletto frantumato.
PALETTI VELATI – Rimane solo un potenziale oggetto della discordia, una questione peraltro assai dibattuta: la rinuncia all’esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci di Stracuzzi. In quei giorni, a tal proposito, si è fatto riferimento al presunto veto di Micali, detentore del 2% delle quote, ipotesi che però è rimasta tale, perché ufficialmente né Micali né Gugliotta hanno manifestato il loro dissenso rispetto all’ipotesi di rilasciare una “liberatoria” sul diritto prelazione. C’è un ultimo aspetto, che riguarda non più “l’immissione di liquidità immediata nelle casse del club” ma una potenziale contropartita economica per la cessione delle quote. Nello spiegare pubblicamente la sostanza della proposta di acquisto formulata dall’avvocato Massone, la proprietà non ha fatto alcun passaggio sull’ipotesi di un riconoscimento economico destinato alla parte “venditrice”, quindi alle tasche dei soci disposti a ridurre la sfera d’influenza nella società. Se così fosse, tecnicamente la proposta di Proto – che in prima battuta, cioè fino a giugno, non prevede una fiche d’ingresso – tra le due sarebbe in tutta evidenza quella più conveniente. Certo: non per i proprietari, ma esclusivamente per l’Acr Messina. Questo, chiaramente, è il passaggio chiave. Cioè capire quale sia il confine tra l’interesse personale e quello collettivo. Oggi una risposta definitiva non è ancora arrivata, ma a stretto giro il quadro sarà chiaro. La proprietà, adesso, non ha più margini di manovra: la base societaria dovrà giocoforza allargarsi, bisogna solo capire verso quale direzione. L’alternativa semplicemente non esiste, come certificano il blocco sul mercato, i mal di pancia di alcuni calciatori e soprattutto il silenzio di Lucarelli: il più fedele testimone di uno stato di crisi che non può essere negato. Chi ancora ci prova, è protagonista di una recita delittuosa. Scendete dal palco, grazie.