Continuare, lasciare, vendere, abbandonare, rilanciare, ridimensionare. Tutti verbi all’infinito, come è infinita la capacità della famiglia Sciotto di creare distanza tra un club senza fortuna e una tifoseria spazientita.
LA SOLITA VECCHIA STORIA – Torna a parlare il padrone del vapore. Pietro Sciotto – sulle pagine della Gazzetta del Sud – ritrova parola e quella verve necessaria per scaricare l’ennesimo barile di fallimento sportivo su spalle altrui. Un pietismo classico avvolge il numero uno giallorosso, ormai nel suo tipico esprimersi in una recita che oscilla tra l’affranto e il vittimistico. Pietro Sciotto accusa Pietro Sciotto di non aver fatto il Pietro Sciotto. Un esercizio metafisico senza eguali, dove l’unica colpa è quella di non aver deciso ma delegato. Ma anche in questo caso il peccato non è averlo fatto, ma aver ceduto nel farlo. Quindi le colpe, alla fine, sono di chi gli ha consigliato di dimezzare le proprie decisioni e affidarsi a professionisti in vari settori. Impossibile, comunque, far finta che anche chi è andato a occupare le caselle dell’organigramma Acr abbia le proprie responsabilità, cose dette e ripetute in stagione con la lunga lista di bocciature dalle scrivanie al campo. Quello che affascina – sempre – di Pietro Sciotto è la capacità di far passare dirigenti e allenatori scelti da lui come occupatori militari della causa giallorossa. Dagli albori di Giovanni Carabellò (forse l’unico non davvero scelto) fino agli ex Camaro e Karel Zeman. Tutti – in fin dei conti – bollati come responsabili, ma sempre con una distanza morale e fisica che lascia intendere come Sciotto abbia quasi subito la loro presenza. Risibile tentativo, perché tra Pietro e Paolo Sciotto il punto comune è sempre stato quello di mettere becco – come una proprietà deve lecitamente fare – nelle scelte. Quando si è delegato – come nel caso dei poteri decisionali affidati alla dirigenza proveniente dal Camaro – nulla impediva i concessionari tirrenici di monitorare e, quando non convinti, porre il veto. Insomma Sciotto torna per provare a convincere il mondo giallorosso della sua innocenza, del suo aver subito colpe di altri. Non mancano passaggi sgradevoli, come lo scaricare sulla gestione Modica l’aver fallito l’aggancio alla zona playoff, dimenticando come il tecnico siciliano arrivasse sulla panchina di un Messina in fondo alla classifica e incapace di vincere fino all’alba di novembre. Immorale scarico di responsabilità, ma tutto figlio di un piano strategico ben preciso.
IL DOMANI – Spogliarsi di ogni responsabilità non è solo un atto di puro narcisismo. Serve per portare avanti una mirata strategia di allontanamento dalla piazza. Una proprietà come quella dell’Acr Messina non può non essere delusa, ma esserlo per colpe altrui serve per giustificare la fatica nel proseguire. Se la famiglia Sciotto passerà la mano non è ancora dato sapersi, anche perché una società di calcio è comunque un buon asset da tenere in famiglia. Al netto della crisi finanziaria legata al Covid – e per la quale siamo consci delle priorità dirottate per gli Sciotto -, il destino del Messina non sembrava già, comunque, roseo. La presenza di due squadre in città è diventata occasione persa per entrambe le fazioni, totalmente incapaci di farsi forza sulle debolezze avversarie. Il risultato è stato quello di piccole beghe, con risvolti da crescendo cinematografico alla Franco&Ciccio in pellicole ben più divertenti come “Don Franco e Don Ciccio nell’anno della contestazione”. Dalla commedia alla tragedia il passo obbligato è quello del grottesco: la vicenda stadio – sul quale Sciotto promette battaglia col Comune – diventa paradossale nel caso di concessioni oggi prolungate e domani revocate, ma ben più seria quando non è dato comprendere quale sia la voglia della famiglia Sciotto di far parte del gran ballo per la concessione pluriennale dell’impianto. Non un obbligo, sia chiaro, anche perché la sensazione è che l’amministrazione stia andando spedita verso un clamoroso buco nell’acqua tra bozze propedeutiche uscite al momento giusto, sommate a una pubblicazione ufficiale che potrebbe restare nel dimenticatoio di un bando che – probabilmente – potrebbe attrarre pochissimo… per non parlare della scarsissima convenienza per le casse comunali stesse. Parentesi generale ma – visto che l’Acr Messina rappresenta il calcio cittadino – che va a sposarsi con l’accidentato cammino di una società che in giugno non sa ancora se esistere o sparire come una bolla di sapone. In tutto questo c’è un tifo che resta basito di fronte a una incertezza immeritata, disilluso nonostante una stagione passata a battagliare in difesa di una squadra inesistente e una proprietà lontana. L’ultimo grande dialogo tra le parti resta, infatti, il gestaccio di Paolo Sciotto nella finale di Latina persa contro il Matelica. Episodio che rappresenta il funerale del rapporto tra le parti, rimaste civili solo per la campanilistica battaglia venutasi a creare con l’arrivo del Fc Messina e di Rocco Arena. Adesso, però, la gente pretende risposte e non più liste di colpevoli e piagnistei un tanto al chilo. Sciotto dice che non porterà il titolo sulla costa tirrenica, ma che la riflessione sul quarto anno è ancora lunga. Necessaria, obbligata e assiomatica, ma la corda – della pazienza – da tirare sembra essere terminata.