
Sembra passato un secolo dall’ultimo pallone rotolante, quello di un amaro pomeriggio a Latina col Matelica pronto ad alzare una Coppa che il Messina aveva trasformato nella panacea di tutti i mali di stagione. Un tempo infinito e accompagnato da un silenzio fastidioso e parole vuote.
IL NULLA – Da Palazzo Zanca è arrivata una notte senza seguiti: il sindaco ha giocato l’ultima carta prima della tornata europea, un do ut des che non farebbe neanche male se, e solo se, fosse stato seguito da qualcosa di reale. Di concreto resta il gesto del presidente D’Arrigo, capace di riportare il marchio Acr a Messina, gesto che resterà simbolico se non appiccicato a nessuna squadra. Sciotto ha saltato in maniera poco educata (un cda di cinque persone non ammette assenze per motivi di lavoro) l’incontro istituzionale; nei giorni successivi solo qualche soffiata maleodorante sui primi approcci col Camaro. Che si punti al marchio originale oppure no poco importa, la realtà dice che la volontà di cancellare la frammentazione e comporre un Messina unico è rimasta nelle parole di Palazzo Zanca; nei fatti resta il passo indietro annunciato di D’Arrigo e Lo Re, ma senza Acr tutto diventerà ancora più paradossale. Se Sciotto proseguirà non è dato saperlo, al momento resta nel suo limbo trasognante dove crede di essere competente e risoluto; in realtà resta come coloro che son sospesi senza il coraggio di decidere se rilanciare o mollare. Impossibile pensare a Sciotto in una cordata allargata, dato che dagli imprenditori tirrenici è arrivato chiaro il messaggio di totale distacco verso diplomazia e lavoro di squadra. Soli o avventura finita, e il 31 maggio lucchetto al San Filippo in arrivo. Camaro e CdM? Hanno settore giovanile e titolo di Serie D, manca la forza economica per prendersi il primato cittadino nel calcio, e se nessuno è interessato a investire su Messina (attenzione alla specifica riferita alla città) un motivo dovrà pure esserci.
NULLITÀ – Da quel Messina in Serie B con Nello Di Costanzo in panchina di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. L’ultimo vero canto dei Franza, ultimi atti prima della scellerata scelta di catapultarsi in Serie D per chissà quale geniale strategia. Primi passi verso capolavori (ironia) gestionali non paragonabili a nulla al mondo. Il calcio messinese ha vissuto un paio di anni di vanagloria con Pietro Lo Monaco e Grassadonia, tutto cancellato dallo schifoso playout contro la Reggina. Da Stracuzzi a Sciotto passando per il paroliere Proto, pagine di tristezza da cancellare nonostante i diversi motivi e colpe che etichettano le molteplici stagioni. Una svolta che Messina attende ma che non arriverà: forse mai o forse nel tempo, sicuramente non esiste in Italia una piazza che ha rilanciato il calcio prima di aver rilanciato se stessa. Messina crolla sotto i colpi di una città che non riparte, bloccata da una classe dirigente che occupa forzatamente poltrone delle quali non conosce peso, responsabilità e importanza. Una città allo sbando amministrativo-economico ormai da decenni, un crollo che trova nel calcio una cartina al tornasole. Le nobili decadute del calcio italiano, quelle legate a proprietà locali e non, sono rinate solo quando le città sono cresciute e reso gli investimenti credibili. Messina vive nell’illusione inerziale di sopravvivere, poco convinta invece di dover ricercare uno slancio di sviluppo diverso. Un paio di centri commerciali e qualche franchising ed ecco che il gioco sembra fatto; in realtà tutto è fermo. Il calcio cammina a braccetto: senza sviluppo economico non esisteranno mai imprenditori locali pronti a investire, senza un terreno fertile nessuno verrà a buttare soldi in riva allo Stretto. L’indotto è inesistente se l’economia è già ferma. C’è sempre il genio che dirà: “Con tutti i problemi che abbiamo pensate al pallone”; caro cretino, quando ti accorgerai che in una città tutti gli aspetti sono collegati sarà troppo tardi, sarà già tutto finito.