Il punto più basso. Al di là della pietosa guerra ideologica tra i detrattori e gli impavidi guardaspalle dell’attuale proprietà del Messina. Il calcio non mente. Il calcio nelle realtà non metropolitane è specchio fedele. È uno spaccato che sintetizza il resto. È un segnavento affidabile, un modello in scala. Attorno al microcosmo Messina c’è tutta la società civile peloritana schierata con i suoi pochi pregi e i suoi infiniti difetti. C’è il tipico approccio alla bell’e meglio. Ci sono innumerevoli orticelli da salvaguardare, interessi di bottega da tutelare. Poltrone impomatate di colla a presa rapida, l’assuefazione al trionfo dell’ego e del tirare a campare. C’è anche l’approccio un po’ naïf di una porzione di “esistenze superiori” che guarda al calcio come si guarda a un appestato. Con distanza, con sdegno vagamente compassionevole. C’è tutta la pochezza di un contesto disabituato al concetto di bene collettivo. All’idea che il pallone sia industria, culturale e in senso più ampio. Che non sia solo fede, passione, panem et circenses. Noccioline da lanciare con svogliatezza nella gabbia delle scimmie. Il calcio, piaccia o no, è anche un segmento importante dell’ecosistema economico. Oggi lo è ancora di più, perché ai piani alti di questo sport, con qualche eccezione, è ormai il mondo della finanza a dettare le regole del gioco. Questo è anche il credo di Corner Messina.
PREMESSE LAMPANTI – Quello che sta accadendo all’Acr Messina non ci sorprende, non può sorprendere nessuno. Recitiamola tutto d’un fiato, quella che è la premessa di questa stagione: un ritiro parzialmente inutile, un allenatore e un d.s. cacciati, un direttore generale inventato, ridimensionato e poi silurato. Un’agenzia di marketing con un sito-vetrina da paleolitico del web (dimissionaria o “esonerata”, poi, questo conta poco o nulla). Una squadra che è un collage di pensieri e idee distanti e distinte. Lo scollamento totale tra le poche attività economiche floride del territorio e il club di calcio. Gli sponsor ai minimi termini, gli abbonamenti anche; una convenzione per i due stadi ancora tutta da decifrare. Un settore giovanile reinventato sulla scorta di una politica che non bada alla valorizzazione del territorio e del suo capitale umano. Tutto era sotto i nostri occhi, ma su queste pagine virtuali fino a qualche settimana fa nessuno ha affilato la penna. Abbiamo atteso, non ci siamo minimamente espressi nemmeno durante la trattativa poi tramontata in estate con la famigerata “cordata Barbera”. Siamo scomparsi dalla scena, limitandoci ai fatti, avvinghiati alla componente irrazionale di questo sport, alla possibilità che il campo potesse sorprenderci, un po’ come ha fatto nello strepitoso inizio della passata stagione. L’unico interesse di Corner Messina è il Messina. Non scriviamo sotto dettatura di nessuno, non rappresentiamo gli interessi di nessuno, non ci facciamo affascinare da nessuno. Non crediamo nel puritanesimo pallonaro, nel politically correct applicato al calcio. Fiducia incondizionata in chiunque fino alla prova del nove: il terreno di gioco.
IL CAMPO – I cancelli del San Filippo si sono spalancati il 28 agosto. Riflettori accesi, una bella vittoria, una cornice di pubblico semi decente. Nonostante tutto, nonostante il fatto che per un centinaio di tifosi quella domenica sia stata, nei fatti, solo una lunga coda al botteghino e poi un rientro diretto a casa, senza passare per gli spalti: problemi tecnici. Superati dall’illusione che tutto quello di cui sopra potesse essere coperto da un tappeto cementato sulla polvere. Che Marra potesse fare i miracoli e dare seguito al lavoro iniziato e portato avanti da un allenatore diverso per caratteristiche, per filosofia calcistica, per temperamento. Per formazione, per indole. Quello che succede da lì in avanti è cronaca sportiva, i numeri non mentono: 5 sconfitte (con Catanzaro, Melfi e Vibonese il Messina è la squadra leader degli 0 punti incasellati a fine partita); seconda peggior difesa del torneo (13 reti al passivo in 8 gare); sestultima piazza per presenze allo stadio del girone meridionale di Lega Pro; ultima nel rapporto tra bacino di utenza potenziale e affluenza al botteghino. Due caselle che intanto sono rimaste senza un interprete: quella di direttore generale e quella di direttore sportivo. Mica poco.
ADESSO, NON DOPO – Per colpa di chi, ci si chiede? Gli errori gestionali degli ultimi mesi sono indubbiamente da matita rossa, peccati mortali senza possibilità di redenzione. Chi vi scrive, però, rimane convinto della buonafede del massimo dirigente del club. Natale Stracuzzi è un uomo che semplicemente non riesce a trovare una collocazione in un mondo cinico e spietato come quello del calcio. Forse non la troverà mai. Un presidente che ha dispensato deleghe in modo spesso scriteriato. Vero, com’è innegabile che i peccati di presunzione e di approssimazione siano stati commessi dall’unico autentico presidente-tifoso dell’ultimo decennio di calcio in riva allo Stretto. Uno che se il Messina perde non ci dorme la notte. Una potenziale risorsa ormai sbiadita, che adesso si è ritrovata un uragano davanti, un boomerang che prima o poi sarebbe tornato. Il credito per aver salvato il Messina è un barile ormai vuoto. Il tempo dei “grazie” è scaduto. Chi pensa di avere la soluzione in pugno, però, pecca di presunzione o a limite di ingenuità. Qui nessuno può dispensare consigli di sorta, nessuno può arrogarsi il diritto di chiedere o imporre passi indietro. Nel comunicato diramato dai gruppi organizzati c’è tutto il senso del discorso: non si impone nulla, non si spinge verso una direzione netta, non si fa il nome di nessuno. Si chiede semplicemente un incontro urgente, risolutivo. Si assicurano sostegno alla maglia e spalle voltate, stavolta, solo all’attuale proprietà del Messina. Un segnale che va colto, perché adesso bisogna rimettere l’Acr Messina al centro di un dibattito costruttivo, bisogna lasciarsi alle spalle tutto. Ieri su Corner scrivevamo un pezzo di analisi del centrocampo giallorosso: “La verità sta nel mezzo”. Sul manto verde e anche attorno, potremmo dire oggi. Perché è giunta l’ora dei compromessi necessari, il momento di instradarsi su nuovi percorsi, non prima, però, di aver incenerito tutto quello che in questi mesi ha avvelenato il clima. Fermiamo questa giostra. È il momento di scendere.