L’incontro notturno al Comune restituisce la cifra di quello che è il pallone messinese. Senza mezzi termini, è sembrato di assistere a un’opera di Ionesco, maestro del teatro dell’assurdo.
SOLDI – Poi, magari, esiste un piano e in questo momento non si può svelare, ma allo stato non abbiamo riscontri in tal senso e dobbiamo fermarci a commentare ciò che è andato in scena nel Salone delle Bandiere. Facendo esercizio di sintesi: abbiamo un marchio Acr Messina, anzi due (quello recuperato da D’Arrigo e quello di Sciotto). Abbiamo un settore giovanile a disposizione, anzi due (Camaro e CdM). Abbiamo un titolo di D, anzi due (CdM e Acr di Sciotto). Benissimo, dirà un lettore non addentro alle vicende del calcio cittadino: basta fondere tutte queste realtà, per dare forza a un nuovo progetto. Peccato manchi un elemento fondamentale: i soldi. Semplicemente surreale. Si ipotizzano cordate, ma alla fine – tra detto e non detto – il pensiero va sempre a Sciotto. E, allora, se realmente fosse lui il principale finanziatore di questa creatura, perché mai dovrebbe cedere lo scettro? In pieno stile Gattopardo, cambiamo tutto perché nulla cambi. Di contro, se dovessero arrivare forze fresche, perché mai bisognerebbe allargare il tavolo di contrattazione anche al gruppo Sciotto?
CONFUSIONE – Il sindaco, dal canto suo, ha detto a chiare lettere che il Comune è pronto a investire risorse sugli impianti. Ma su quale: “Celeste”, “Franco Scoglio” o entrambi? Non si è francamente capito…C’è di più: stiamo pensando a un progetto di rilancio definitivo o a una soluzione tampone in attesa che il bando per gli stadi possa attrarre investimenti anche sulla squadra? La verità – sosteneva Isaac Newton – si ritrova sempre nella semplicità, mai nella confusione. E, ad oggi, la verità è che restiamo ostaggio più che mai di una proprietà, la famiglia Sciotto, che nonostante tutto non sembra avere alcuna intenzione di farsi da parte, ma tutt’al più appare disposta ad accogliere soci di minoranza, senza lasciare il comando delle operazioni.