Messina-Gelbison, quell’attimo fuggente

Pubblicato il 14 Maggio 2023 in Primo Piano

La corsa a perdifiato di Ragusa, l’abbraccio con Fumagalli, le lacrime di Ferrara e quelle a dirotto di Ferrini. Il sorriso pieno di Raciti, il volare sulle spalle della squadra di Logiudice. Il fischio finale di Bonacina regala uno spettacolo di gioia diventato quasi insperato. Il Messina è salvo.

TEMPUS FUGIT – Qualcuno ci credeva ancora, ma la speranza diventava sempre meno. Il verdetto del campo stava arrivando e stava per bocciare un Messina incapace di sfondare il muro della Gelbison. Neanche così granitico, tra l’altro, perché la squadra di Galderisi aveva scelto un atteggiamento aggressivo per questo ritorno playout senza possibilità di appello. Nessun arroccamento che lasciava spazio a una formazione offensiva negli uomini e nelle intenzioni. Difendersi attaccando, ma anche l’idea di aver in campo calciatori capaci di colpire in caso di rete subita. Un piano partita che aveva regalato un match aperto e ad alta intensità. Messina che non pensa più ai ragionamenti che confondono ma che si lascia spingere da un pubblico appassionato. Le armi sono quelle che sono, così Raciti vuole una squadra che costruisce da un lato per ribaltare il gioco e trovare superiorità. Il rischio è dietro l’angolo e si accetta. La Gelbison riparte e costruisce, il Messina di difenda e lotta. Linea difensiva che accetta di giocare a campo aperto, Ferrini si prende subito la palma dell’esempio per tutti: Kyeremateng asfaltato e quando c’è da aiutare non fa mancare la sua fisicità. La sua prestazione diventa emblema, le sua lacrime dopo il fischio sono un fiume in piena di gioia e liberazione. La sofferenza in campo prende forma e sostanza, col Messina che non diventa mai pericoloso e vede il tempo scorrere veloce. Ancora una volta è Galderisi a mettere in pratica tatticismi che complicano la vita, dall’altra parte bisogna inventarsi una mossa per sparigliare. Il primo tempo lancia messaggi chiarissimi: il Messina non segnerà mai. Troppo lenti nello sviluppo Kragl e Ragusa, messo in mezzo al caos Balde mentre Perez si muove tanto ma nella sua partita non c’è mai l’affondo decisivo. Squadra spaccata in due con il doppio mediano che lavora nelle due fasi anche se diventa evidente la lunghezza dell’undici di Raciti.

NINO NON AVER PAURA – Un primo tempo che va in archivio e lascia in eredità solo la paura per il tempo che si dimezza. La Gelbison parte più schiacciata e invita Raciti all’illuminazione che sembra spinta da un pizzico di follia tattica. Anarchia totale con Fofana lasciato solo ad agire da mediano con davanti cinque attaccanti. Balde centrale, più Kragl e Ragusa larghi per accompagnare Zuppel e Curiale. All-in disperato, ma sul cronometro c’è una mezz’ora da giocare. Confusione nella costruzione e difficoltà che si riassumono nel lancio lungo disperato. La Gelbison capisce che c’è margine per attaccare e chiuderla e si riaffaccia. I conti vanno fatti anche con Fumagalli che si scalda sul destro piazzato di Fornito e manda un messaggio: non si passa. La partita prende i contorni del dramma sportivo, perché – e chi dice il contrario mente a sé stesso – l’andazzo sembra condurre verso uno 0-0 buono solo per il ritorno in Serie D dei giallorossi. Il calcio è uno sport strano, uno sport come nessun altro. Un mondo a parte dove saper cogliere quell’attimo diventa decisivo. Fondamentale esserci sempre, perché si gioca in spazi larghi, in tanti e chiunque può commettere quell’errore che cambia tutto. Errore non evidente, basta ciccare mezzo pallone e il destino prende un’altra forma. L’unica richiesta che il calcio pretende è quella di non smettere di crederci, di non darla vinta alla rassegnazione. Curiale e Grillo non entrano facendo chissà cosa, ma una sponda precisa e un’imbucata pulita bastano per solleticare il calcio a darti una chance. Ferrini si dimentica di essere un centrale, di sfidare una corsia dove Graziani e Nunziante hanno gamba e velocità. Corre con una cattiveria agonistica implacabile, alza la testa e mette un pallone di rara precisione. Il tempo sembra congelarsi, quasi fermarsi per far capire a tutti – con estrema lucidità – come andrà a finire. Quell’appuntamento da non mancare e col protagonista più atteso: Antonino Ragusa. Messinese con la fascia al braccio, che sul quel pallone sembrava non poterci mai arrivare per quanto mostrato fin lì, ma che ci arriva perché una cosa non si è mai spenta: la sua voglia di farcela. Decisivo nel momento decisivo, presente quando toccava a lui. Doveva essere lui a mettere la firma e così è stato. Corre, velocissimo e imprendibile per tutto il Messina che gli va dietro. Si schianta in una schienata liberatoria sotto una Curva Sud che fa tremare l’intero stadio. Lo abbraccia la squadra, idealmente lo fa tutta la città di Messina. Ma non è finita. Perché il tempo sul cronometro è troppo e la Gelbison ha la qualità per sistemare tutto. La squadra di Galderisi nelle due sfide mostra tutto quelle che serviva per strappare la salvezza, non arriva ma non può avere rimpianti. Sbatte su un muro chiamato Fumagalli. Due mischie che fanno tremare: Loreto in diagonale, respinto. Tumminello la rimette dentro e non c’è nessuno. Tumminello c’è sempre e cerca la nuova beffa nel recupero: riflesso mostruoso di Fumagalli. Non si passa. Lui, Ragusa e tutti quelli arrivati a gennaio col solo obiettivo di una salvezza che sembrava impossibile. Nella partita senza futuro, senza appelli o repliche dovevano essere decisivi e lo sono stati. Con la special-guest rappresentata da un Ferrini che diventa manifesto della bontà professionale di un gruppo a cui va dato il merito di non aver mai allentato la presa.

ERMANNO, L’ESEMPIO DA SEGUIRE – Una salvezza che sembrava lontanissima a gennaio, ma l’avvento di Raciti e Logiudice aveva riacceso immediatamente la speranza. Punti, acquisti e altri punti. Male che vada saranno playout, perché da subito il cambio di passo era stato evidente. La scalata, però, stava conducendo verso qualcosa di più. Rimonta totale fino a 30 punti che solo per un pelo non bastano. Recriminazioni necessarie e giuste, tanto che poco importa la voglia dei protagonisti di non accettare qualche critica. Loro per primi sanno che questa appendice contro la Gelbison era evitabile e sarebbe stato meritatissimo non giocarla. Ne sono consapevoli e forse è proprio questa ragione limpida a spaventarli tanto. Quando arrivi a un passo e non riesci è facile non riuscirci più. La partita di Agropoli sembrava confermare la teoria, per buona parte sottoscritta anche dal match di ritorno. Ma c’è quell’attimo lì, quello che il calcio ti concede per cambiare il tuo destino. Il Messina era ancora vivo e ci credeva davvero. Sarebbe stato più facile – non giusto ma più facile – mollare e farsi trascinare dall’inerzia negativa e dalla retrocessione. Gli alibi sarebbero stati tanti, ma nessuno ha voluto arrendersi. Nel calcio – e anche nella vita – non è finita fin quando non è finita. Il Messina è salvo e deve gran parte di questo risultato a Ezio Raciti (voto 6,5 per la partita, voto 8 per la stagione): un tecnico che non alza mai i toni, che quando si incazza lo fa per mettere uno scudo davanti ai suoi ragazzi e che è stato capace di ingoiare un rospo amarissimo per completare la sua opera iniziata a gennaio. Due gironi sulla panchina del Messina che fanno rima con due salvezze inverosimili. Quella dello scorso anno fu addolcita dal caso Catania che tolse tanta tensione a un finale che, però, avrebbe visto il Messina prendersi gli eventuali punti mancanti sul campo. Quest’anno la storia era diversa perché le difficoltà erano triple. Anche il livello della rosa era meno alto, col mercato il gap è stato chiuso ma il lavoro era tanto. Portato avanti anche con qualche errore e difetto. Superati con la solita calma, almeno mostrata anche se dentro ribolliva la paura di non arrivarci alla salvezza. Il tempo dei bilanci arriverà, anzi ne parleremo presto cercando di analizzare il quadro generale e il futuro. L’anticipazione deve riguardare i protagonisti del campo, per la proprietà occorre dedicare analisi mirate. Il lavoro del direttore sportivo Logiudice è la dimostrazione che la competenza è il vero valore aggiunto di questo mondo. Il presidente Sciotto ha voluto un mercato che non limitasse la spesa, ma la capacità di Logiudice di non sbagliare le scelte ha fatto la differenza. In Serie C ci sarà sicuramente un portiere più forte di Fumagalli – che ci scuserà -, ma non c’era un portiere e un professionista migliore di lui per quel momento. Ermanno è l’esempio di quello che è stato costruito: uno spogliatoio di alto profilo morale, con un’etica del lavoro inattaccabile. Il contorno in casa Messina non è mai stato del tutto ideale per muoversi con assoluta serenità (ora possiamo dircelo) e solo un gruppo coeso e cementato poteva mettere insieme 30 punti in 18 partite e cogliere quell’attimo fuggente. Quel singolo momento. L’attimo della salvezza.

Fumagalli 8: vola su Fornito, si allunga su Loreto, compie un miracolo su Tumminello. Tre volte chiamato in causa per tre interventi che valgono un pezzo enorme di Serie C. Leader emotivo ma calciatore decisivo.

Berto 6: ordinato quando deve difendere, prova ad appoggiare la manovra offensiva ma gli manca un pizzico di coraggio.

Trasciani 7: le partite dove c’è da lottare sono il suo pane quotidiano. Duella con Infantino, tampona Tumminello. Nel finale si balla anche per paura, resta tra i più lucidi.

Ferrara 7: come il compagno di reparto si gode una giornata difficilissima e di continue corse. Bravo ad arrivare su tanti palloni aerei, quando sembra superato ci pensa Fumagalli.

Ferrini 8: maestosa prova del centrale in prestito dal Renate. Si adatta sulla fascia dove resta ordinato per una ventina di minuti e non concede nulla a nessuno, poi capisce che su quella corsia il terreno è fertile anche per attaccare e inizia a spingere. L’assist salvezza è suo e si merita una copertina speciale. Il migliore per il carattere dimostrato.

Fofana 6: il giallo lo condiziona quando Raciti decide di lasciarlo isolato baluardo della mediana ma lui si impegna a essere sempre utile. (dal 34′ s.t. Marino s.v.)

Konate 6: primo tempo di buona qualità per senso della posizione buona per recuperare tanti palloni vaganti. (dal 17′ s.t. Curiale 5,5: una palla gol non facile perché D’Agostino tira fuori un super intervento. Dopo il vantaggio non protegge a dovere un paio di palloni che avrebbero allentato la pressione avversaria)

Kragl 5,5: troppi errori di misura quando si presenta sulle palle inattive, fatica a essere decisivo quando viene coinvolto anche per la gabbia messa in atto dai cilentani. (dal 34′ s.t. Grillo s.v.: entra con voglia ma sbaglia tanti palloni. Alla fine il tocco per lanciare Ferrini è suo, non poco. Giudizio ma nessun voto)

Balde 6: cerca spazio dove spazio non ce n’è, il suo svariare apre qualche maglia che i compagni non sfruttano al meglio. Calcia una sola volta e buca l’appuntamento ma si sacrifica tantissimo nei momenti di anarchia tattica. (dal 40′ s.t. Fiorani s.v.)

Ragusa 7: fino al gol è forse il peggiore in campo. Un solo spunto e neanche così importante. Fatica tantissimo per vincere i duelli con Nunziante e pare sempre frenato. Il fisico non lo aiuta, ma la testa è viva, accesa. Sa che il momento giusto può arrivare, resta dentro una partita che sembra non volere girare e non sbaglia quando il calcio gli concede quell’unica palla. Quella che non va sprecata. Profeta in patria.

Perez 5,5: il solito gran lavoro di sacrificio, lotta e sempre a servizio dei compagni. Manca, come spesso accaduto, l’istinto del bomber e qualche affondo dalle buone potenzialità resta abbozzato. (dal 17′ s.t. Zuppel 5,5: impegno massimo ma incidenza al minimo, bravo nel lottare con grande sacrificio)

GELBISON D’Agostino 7; Nunziante 5,5, Gilli 6,5 (dal 51′ s.t. Marong s.v.), Granata 6, Loreto 5,5; Kyeremateng 5,5 (dal 21′ s.t. Correnti 5,5), Cargnelutti 6, Fornito 6,5 (dal 28′ s.t. Uliano 5,5), Graziani 5,5; Tumminello 6, Infantino 5 (dal 28′ s.t. De Sena 5,5). All. Galderisi 6

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