In filosofia il metodo induttivo richiama il procedimento che, analizzando casi particolari, tende a stabilire una legge universale. Nel corso dei secoli il metodo è stato al centro del dibattito del pensiero, tanto da attrarre e creare critiche strutturate che tendono alla confutazione.
RUSSELL E IL TACCHINO – All’inizio del ‘900 il filosofo gallese Bertrand Russell espose l’esempio massimo per la confutazione del metodo induttivo: un tacchino d’allevamento americano osservò che ogni mattina alle 9 gli veniva portato il cibo. Passò mesi a studiare i dati, accorgendosi che con qualsiasi variabile possibile non mutava il fatto che ogni mattina alle 9 gli venisse portato il cibo. Giunse, quindi, alla conclusione che ogni mattina alle 9 gli avrebbero portato il cibo; la sua analisi si rivelò fallace quando la mattina di Natale fu sgozzato per diventare la portata principale del pranzo. L’analisi di Russell fu sviluppata anche da Karl Popper: per quanti casi si possano analizzare esisterà sempre una inferenza. I casi e le possibilità restano infiniti.
LA SALVEZZA – Presumere che il Messina batterà la Sancataldese il prossimo 28 aprile, o quantomeno non perderà, risiede nelle possibilità statistiche legate al calcio. Ai giallorossi serve un punticino, anzi basterebbe vincere a Rotonda all’ultima giornata e si potrebbe anche perdere con la Sancataldese, quasi un paradosso che rende non decisiva una sfida definita tale. Tutti i fattori tendono alla risoluzione positiva per la stagione, drammaticamente scadente, del Messina. Forse troppo scontato, però, iniziare i festeggiamenti senza aver fatto i conti col campo. Non una visione negativa, solo la consapevolezza che nella vita esistano tante soluzioni possibili quanto infinite. La stagione del Messina è stata condizionata da una presunzione di forza immotivata, probabilmente frutto dell’insipienza calcistica di chi guida la “corazzata”, sicuramente avvilita da una classifica che racconta di una squadra anonima. Ripetere, per l’ennesima, volta che i più innocenti restano i calciatori serve a poco; abbiamo tutti individuato nella “testa” il vero pericolo per il calcio messinese, i colpevoli di un’apatia che distrugge un sentimento di pura passione come quello calcistico. La famiglia Sciotto in due anni ha regalato delusioni, anche legate alle parole spese per descrivere anzitempo la stagione in arrivo. La loro analisi del sistema calcistico è errata, spesso distrutta dal fattore “avversari” che difficilmente è stata messa all’interno dello “studio sciottiano”. Questo Messina ha valutato che chiamarsi Messina fosse un primo passo verso l’alto, senza mettere in conto la possibilità che da altre parti esistessero competenze e organizzazione di livello superiore, buone per cancellare e rendere scadenti quelle giallorosse. Universalizzare il calcio è impossibile, credere che sul proprio cammino non inciderà quello altrui è, quasi, sinonimo di cecità intellettiva.
IL CAMPO – Dopo le parole, però, c’è sempre il pallone che rotola. Da quel punto di vista potremmo anche uscire dalla fase del pensiero, tornare sulla terra e capire che il fiato corto e le poche giornate rimaste siano utili a farsi i primi conti in tasca. Il Messina impatta a Roccella contro un avversario disperato, da Rotonda arrivano notizie positive per tutti e 4 punti da gestire in due gare sono un bottino difficile da gettare via. Troppo spesso, in stagione, il campo è stato messo in secondo piano spostando l’attenzione su società e politica; allarme che abbiamo lanciato incessantemente col risultato di trovarci ancora in ballo a 180′ dalla fine del torneo. Playout da evitare e poi tutti concentrati su Latina e la sfida col Matelica; partita non scontata se si guarda il cammino dei marchigiani in stagione. La gara di Roccella, intanto, ha chiarito come l’assenza di Arcidiacono in finale sarà devastante: l’ex Sicula Leonzio ha gestito forze e acciacchi, la sua presenza è stata però fonte tecnica e di personalità, ingredienti mancanti nel resto dei protagonisti in giallorosso, gli stessi che dovranno affrontare la finale coi gradi della titolarità.
IL FUTURO – Quando a febbraio fu formato il cda di casa Sciotto il presupposto iniziale fu quello del “traghettamento”; chi ha avuto la possibilità di studiare la sola prossemica di Paolo Sciotto avrà subito pensato all’impossibilità per il rampollo di Pietro di fare un passo indietro e uscire dai riflettori. Due anni di soldi buttati, per incapacità gestionale, non possono restare nel curriculum senza una terza grande occasioni di farsi coprire di critiche. Tra fair-play finanziario e brand il giovane Paolo ha strappato sorrisi alla platea, eccezion fatta per alcuni sognatori o rincoglioniti, la differenza fatela voi. Nessuno pretenderà dagli Sciotto di rinunciare a una loro proprietà (siamo ultra-democratici), ma nessuno ci impedirà di accompagnare il loro mantenimento con dubbi atroci (siamo anche ultra-scettici). L’interessamento di Rocco Arena, al momento, resta in superficie, soprattutto vista la partenza impregnata di frecciatine avvelenate. L’imprenditore, adesso, cerca nel viaggiatore De Luca l’interlocutore giusto (le istituzioni sarebbero garanzia per chi compra e chi vende), forse inconsapevole di come il primo cittadino preferisca dettare e non farsi dettare l’agenda. Se Rocco Arena avrà intenzioni serie – cosa ancora tutta da vedere – dovrà lottare con un sindaco dal carattere mutevole e una proprietà nota per i cambi di direzione, in bocca al lupo per tutto. Al momento, infatti, di un passo indietro di Paolo Sciotto non c’è certezza, con l’amara consapevolezza che in fase di trattativa si tireranno fuori cifre un tanto al chilo. E chi se ne importa di fair-play e brand.