Gustavo che applaude la curva, alla fine di una battaglia che non ha prodotto né vincitori né vinti. Per la copertina scegliamo quest’istantanea, sintesi del nuovo corso che abbraccia quel pezzo di stadio che ha sempre risposto presente. Il calciatore che riserva un tributo a chi ha spinto con la voce e con le mani una squadra che ha provato a sfondare un muro invalicabile per 90 minuti. Senza riuscirci, certo. Ma non per demerito del Messina, sia chiaro. La chiave del match contro l’Ischia va ricercata nell’atteggiamento tattico di un avversario che negli ultimi 20 giri d’orologio ha addirittura cancellato la prima linea, quella offensiva, e si è ritirato in trincea, disposto su due linee che non contemplavano nemmeno l’accenno a una fase di proposizione. Davanti a Iuliano, a tratti, c’era un blocco di sei uomini. Una diga senza crepe.
SINTESI DI UN DISCORSO – Perché Gustavo? Semplice, il brasiliano è incarnazione soggettiva dello spirito che ha animato nell’ultimo match di campionato il Messina. Non abbiamo dati statistici in supporto, ma è evidente che l’ex Novara abbia macinato chilometri. Qualche imprecisione, vero, qualche tocco di troppo in alcune situazioni in cui sarebbe stato necessario velocizzare il giro palla. Gustavo però non si è risparmiato mai, ha dato tutto. Qualcuno storceva il naso a sentire il suo nome accostato alla maglia biancoscudata, quando ancora questa era una squadra in divenire. Non avendo elementi a disposizione, il brasiliano lo si immaginava a forza di stereotipi, di banali semplificazioni. Un trequartista leggero e tecnico, dal baricentro basso e dai piedi buoni. Un brasiliano indolente. Uno che vuole la palla e che non va a cercarsela. Uno che non si mette al servizio della squadra, ma che pretende che sia la squadra a mettersi al suo servizio. Tutto sbagliato. Ce ne siamo accorti, e non solo mercoledì.
LA RABBIA DI MARTINELLI – Il brasiliano come sintesi, in questo caso sì, come forma di (e)semplificazione, stavolta non banale. Gustavo come tutta la squadra, con rare eccezioni. Una squadra che ha fame di vittoria e di riscatto. Quella fame che ti aiuta a reperire forze supplementari, fame che a volte, poi, finisce per intaccare la lucidità, sotto porta e non solo. Prendi Martinelli. Mercoledì, dopo aver rimediato un giallo, ha rischiato il rosso subito, con un’entrata limite sulla trequarti avversaria. L’arbitro lì per lì l’ha graziato, ma il centrale giallorosso ha poi pagato il debito, nell’ultima azione della gara. Nessuna giustificazione, ma va detto che Martinelli fino a quel momento era stato ancora una volta il migliore dei suoi. Ha pagato lo scotto, trasformando la voglia di vincere in frustrazione, e poi la frustrazione in rabbia. Il rosso diretto è solo una conseguenza.
PER NON DIMENTICARE – Bene ha detto Dario Barraco nel post-partita: “Guai a provare amarezza per questo pareggio. Non dimentichiamoci che questa squadra è stata costruita per salvarsi”. Che non è un mettere le mani avanti. È un modo per rispolverare all’occorrenza quello che è l’obiettivo vero, la priorità di una società nuova di zecca che quest’anno ha bisogno di una stagione interlocutoria per assestarsi non solo economicamente, ma anche sul piano della progettazione tecnico-tattica. È un tornare con i piedi per terra e con la mente sgombra da facili illusioni.
Quinta giornata, stagione 2015/2016
IL BUON INIZIO IN CIFRE – Il Messina vanta, con Casertana e Akragas, la migliore difesa del torneo. Non solo. I giallorossi non hanno mai perso, come Catania, Casertana e Paganese. Facendo un confronto con lo scorso anno, a questo punto della stagione (dopo la quinta giornata) il Messina “godeva” di 4 punti in classifica, 3 sconfitte subite e un sonoro -6 nella differenza reti, complici i nove gol incassati, di cui 5 contro il Matera, in casa. Matera che ritroveremo domenica al San Filippo. Avversario che va affrontato con rispetto, ma con una convinzione: sarà un osso duro da battere, ma di certo non verrà a farsi una gita fuori porta al San Filippo. Ad attenderlo ci sarà una squadra di calcio, stavolta.