A chi importa dei risultati? Del centravanti? Dei dirigenti? Del 4-3-3 o della classifica? Playoff e ripescaggio? Parole vuote… nulla conta davvero quando si è davanti alla santità.
VITTIME DI TUTTI – Avvertenza: articolo ad alto contenuto di ironia e sarcasmo – e spiegarlo diventa triste ma necessario visti i precedenti -, non per snobismo ma per il bisogno fisico di non affrontare il nuovo pastrocchio con immotivata serietà. Diventa difficile, infatti, essere seriosi nel raccontare l’ennesimo disastro. Ancora una volta si riparte da zero in casa Messina: costretta, la famiglia Sciotto, dagli addii di tutto lo staff dirigenziale proveniente dal Camaro. La storia di quanti indizi fanno una prova sarebbe valida, ma andrebbe contro la verità: gli Sciotto sono santi, vittime martirizzate di altrui errori. La storia ama ripetersi, ma non fatevi ingannare dal fil rouge rappresentato dalla presenza degli Sciotto. No! La colpa – innegabile – è sempre degli altri. Come no…
IL CALCIO E GLI SCIOTTO RETTE PARALLELE – Nonostante l’innata propensione verso la perfezione, i primi due anni di gestione Sciotto manda a rotoli il loro rapporto con la tifoseria. Il matrimonio con il gruppo Camaro arriva come scialuppa di salvataggio in mare aperto. Un connubio che aiuta a dimenticare i: “3 anni in B”, Carabellò, l’arrivo di Ferrigno che trasforma la rosa con acquisti di livello ma poi non va più bene, il rapporto con Lamazza, “il Messina di Modica” (che faceva incazzare da morire Pietro Sciotto), la conferenza di Sciotto e Modica – trasformata in un teatro dell’assurdo – col tecnico che deve smentire il presidente sulla sua permanenza davanti a tutti. Dimenticato, quindi, il primo anno dove i cattivi sono presenti in quella lista, e dove Sciotto colleziona sconfitte in cause sul vil danaro. Arriva il Bari – oltraggio federale – ma la corazzata è pronta, forse… le parole sono nulla di fronte al via vai: Rappoccio-Cozza, Grasso-Raffaele, l’interim di Polenta e l’esonero di Infantino. Tutto cancellato, sopratutto grazie ai toccati dalla grazia Torma e Biagioni: anche loro – come Lamazza e Modica -, però, non sono felicissimi di qualche fastidio organizzativo, che diventa buona scusa per una squadra aberrante. Ultimi, penultimi, rivoluzioni, ma la Coppa Italia ci fa sognare (???)… è il tempo degli “Sciotto vattene” da nord a sud di Messina. Cattiverie che offendono la santità, bestemmie, quasi, verso chi ha resuscitato il calcio a Messina. Pietro Sciotto fa un passo indietro e ci regala un cda presieduto dal figlio Paolo: storie di spending, fair play finanziario e perle che elevano il dibattito calcistico cittadino… grazie! Purtroppo a Biagioni e squadra allenarsi all’alba piace poco, arriva lo scontro con Paolo Sciotto e l’allenatore saluta lo Stretto. Qualche ingrato inneggia al tecnico laziale. La bontà d’animo di Paolo, verso il popolo giallorosso, è possibile notarla in magniloquenti gesti di perdono e benedizione al San Filippo e a Latina. Ci salva sul campo del Rotonda, ma che bel campionato!
SULLA VIA DI DAMASCO – Biagioni, la finale di Latina persa col Matelica e l’offerta di Rocco Arena. La società messa in vendita dal cda guidato da Paolo Sciotto, l’offerta non convince – lecito (anzi, giusto se non giustissimo) perché voler vendere non fa rima col vendere a prescindere e non a chiunque -, ma la piazza rigetta il terzo anno degli Sciotto (cattivi!). La mano tesa arriva da Bisconte, da un gruppo dirigenziale che scommette – in primis – sulle proprie capacità. Antonio D’Arrigo rileva il marchio Acr da Pietro Lo Monaco (a volte ritornano…), con lo storico simbolo – e una dirigenza preparata – appoggia il terzo tentativo della famiglia tirrenica. La cronistoria è nota, come il raccontare del tifo che firma un patto di non belligeranza, anche motivato da quanto accade in città con la nascita del Football Club Messina. Appartenenza e amore prendono il sopravvento, come giusto che sia in un mondo comunque sentimentale come quello del calcio. Gli ingredienti per cambiare il destino ci sono tutti: il calcio, però, ha un dio tutto suo.
LA SOSTANZA – Ironia e sarcasmo ci hanno stancato già da diverse righe, forse non siamo neanche così capaci. L’argomento, poi, è tristemente serio per la sua evoluzione. In estate avevamo scritto – ma ne abbiamo scritte di cose poi avverate -, che non bisognava affibbiare a Rando, D’Arrigo e Manzo etichette da Marotta e Paratici. Non per sminuirli, ma per non mettergli addosso una pressione inutile e ingiustificata. Non a caso, oggi, gli ultimi paladini della religione sciottiana rivendicano come, in fondo, il Camaro fosse solo una squadra di Eccellenza. Estrema banalità, perché la categoria – chissà quando lo capirete – non fa competenze e capacità generali. Può mancare l’esperienza ma i risultati, di sostanza, arrivano: da un ritiro senza intoppi alla presentazione in una piazza Duomo festante e ambiziosa. Poi la concessione esclusiva del San Filippo (l’anno prima anche i pompieri erano nemici della santità sciottiana), il lavoro sul livello di un Club Channel messo in atto da Manzo e Fontana (con un grazie a Daniele Brigandì e Giovanni Isolino) che regalano immagini, foto, interviste e aggiornamenti live. Gli allenamenti al Despar in tranquillità, ma anche errori: Pasquale Rando – che è uomo vero – sceglie Obbedio e forse si pente subito. Concede tempo e si mangerà le mani, proverà a metterci una pezza sul campo ma la stracittadina rianima l’emotività degli Sciotto. Ma ammette, ammette sempre, le sue colpe. Parentesi, anche, per il gol di Franco Rao che pizzica la posizione irregolare di Cannino dell’Acireale, che differenza con un Pec inviata in ritardo.
ADDIO – Lo 0-3 di Carbonaro e soci rappresenta il punto di rottura della stagione: il post partita è infuocato. Pietro Sciotto spara a zero nel chiuso degli spogliatoi, il figlio Paolo lo fa davanti ai microfoni. Dimissioni in blocco come conseguenza: alla fine arriva un passo indietro, che diventa un clamoroso errore perché il vaso è ormai rotto. Forse già in frantumi da mesi, da quando l’egocentrismo sciottiano aveva fatto un passo indietro delegando – anche mediaticamente – in maniera totalitaria, col fuoco della sua voglia di potere autoritario che covava sotto la cenere. Questa volta Sciotto potrebbe rivendicare, ma sbaglia ancora perché formare un organigramma non significa addossargli tutti gli oneri al momento più conveniente. Che la dirigenza abbia sbagliato nello scegliere il ds e nel dargli pieni poteri lo abbiamo detto tutti; che una proprietà non possa affidare i propri soldi senza supervisionare, o ritagliarsi il diritto di porre dei veti, è errore di pari misura. Arriva Zeman ma il calciomercato è specchio di quel “quota 100” che Paolo Sciotto usa per schiaffeggiare la sua squadra. Dicembre – per tutti – sembra il mese in cui gli ex Camaro lasceranno, diventa gennaio solo per un eccesso di pazienza. D’Arrigo trova anche il tempo – e la professionalità – di prolungare la concessione del San Filippo fino al maggio 2021. Nel frattempo la “rimodulazione” – altra perla clamorosa – abbatte il monte ingaggi ma non migliora il valore tecnico. Ennesima conferma, non richiesta, di come il tocco degli Sciotto non sia migliore di quello di altri. La classifica piange rispetto agli obiettivi, con gli avversari che banchettano sui giallorossi. E domani? Ci vorrà tanto, tantissimo, stomaco forte. Amen.
*foto tratta dalla pagina Facebook ufficiale dell’Acr Messina