Tre nomi: Giorgione, Baccolo e Fornito. Nessuno di questi è un autentico fuoriclasse; difficile, tuttavia, poter parlare di semplici mestieranti di categoria. L’esperimento prosegue con tre nuovi nomi: Lazar, Musacci e Foresta. Un oggetto misterioso, una stella gloriosa avviata da un paio d’anni lungo il viale del tramonto e un giovane promettente. La percezione del passato spesso inganna, ma è difficile sbagliarsi nel breve volgere di pochi mesi: dove l’equilibrio e l’esperienza garantiscono la duttilità tattica, il Messina si è impegnato nel dilapidare un patrimonio consolidato per un salto nel vuoto. Un centrocampo mediocre è oggi il peccato originale di un organico realizzato a quattro, sei, otto mani: completata la collezione di figurine, resta l’impressione di averle incollate sull’album sbagliato.
GLI INTERROGATIVI – Per restare in tema di almanacchi, l’italo-tedesco Akrapovic risulta mezzala: schierato sempre fuori posizione (terzino, esterno puro), l’ex Reggina non ha mai visto il campo nel suo ruolo naturale. Ricozzi parte come play basso a Catanzaro: Mancini lo prende per mano fino a fargli trovare un minimo di convinzione. Immediato lo spostamento a mezzala nel naufragio contro la Paganese. Bramati assaggia l’agone con Siena e Foggia, poi il buio. Capua, fortemente voluto dallo stesso tecnico Marra, si aggira per il campo come un fantasma. Lazar si è rivelato finora più Mr. Hyde che Dr. Jekyll. Poi Rafati, Gaetano, Maniscalchi: di alcuni è ignota la stessa collocazione tattica.
LE VECCHIE GLORIE – Mancini e Musacci meritano un discorso a parte. Il primo è reduce da due retrocessioni consecutive, la prima proprio con la maglia giallorossa. Così duttile da rappresentare spesso un equivoco tattico, ha deciso con uno spunto vincente la gara di Catanzaro: un lampo nella notte buia di ore intere spese a rincorre avversari più agili o a soccorrere compagni più giovani. Un trequartista che non supporta la manovra, ma che la subisce: Marra intravede il successo solo nel gioco di specchi, lo stesso possesso palla non è la regola, ma l’extrema ratio. Aveva iniziato bene Musacci: lanci di prima e pensieri costantemente rivolti alla boa offensiva nel debutto con il Siracusa. Un’improvvisa metamorfosi lo rinchiude nello stesso recinto in cui si era rifugiato il peggior Baccolo: semplici scambi in orizzontale, amnesie in fase di interdizione, pessimo dialogo con i compagni di reparto. L’ex Paganese si era poi liberato di tutti i fantasmi sul finire di stagione, con la testa sgombra ed una rinnovata consapevolezza nei propri mezzi: Musacci resta fino a qui un compassato ragioniere. Onesto, senza pretese di finanza creativa: di questi tempi, persino Pestrin e Bucolo non hanno esitato a strappargli il curriculum in mille pezzi.
FORESTA – Capita spesso che un gemello non riesca a vedere la luce. Uno resiste, l’altro viene smaltito nel liquido amniotico. Foresta aveva Baldassin. Bertotto, come la madre dei Gracchi, due gioielli. Perverse logiche di mercato conducono l’ex patavino nella Lupa Roma, il Messina perde così tutte le geometrie provate durante l’estate: molti ricorderanno la gara di Siena o la brillante prestazione con il Siracusa, nessuno ha più ammirato un inserimento efficace, un tiro improvviso scagliato dal limite dell’area, un semplice movimento razionale in fase di non possesso. Foresta prova a far tutto da solo: non basta per un quarto posto, troppo poco persino per immaginare una tranquilla salvezza.