Un po’ allenatore, un po’ d.g., un po’ d.s., un po’ capopopolo, un po’ uomo-immagine. Ripiegare sul concetto di manager all’inglese non basta: Cristiano Lucarelli quel perimetro lo ha superato nettamente. Due mesi durante i quali ha spostato rapidamente il suo raggio d’azione, ampliandolo, rendendolo sintesi di una sorta di paradosso che probabilmente oggi non ha eguali nel calcio professionistico italiano. Ha condotto trattative di mercato in prima persona, ha fatto appelli, ha girato la provincia in lungo e largo per trovare un campo d’allenamento. Ha chiesto scusa ai tifosi quand’era il momento di farlo. Ha incassato e sferrato colpi. Non si è mai sottratto, Lucarelli. Ha, soprattutto, alzato lo scudo per due mesi, spostandone ogni volta la direzione per evitare di esporre il club alle verità che conosciamo. Ha narcotizzato il dibattito, parlando di necessaria pazienza, di arbitraggi sfavorevoli, di un terreno di gioco impraticabile, di distrazioni esterne, di peso della maglia. Ha respinto le frecce che arrivavano da ogni direzione. Fino a quando lo scudo si è sgretolato: dopo il 3-0 fragoroso e fuorviante che campeggiava sui titoli di coda di Messina-Vibonese, al De Simone il re è rimasto nudo.
IL TERZO TEMPO DI SIRACUSA – Siracusa accoglie il Messina con composta riverenza in virtù di ciò che è stato e di ciò che ha rappresentato. La squadra però si scioglie presto nell’ennesima stazione di una via crucis senza fine. Giovedì, in campo, i giallorossi in fondo non ci sono mai stati, annichiliti presto dal non trascendentale avversario di turno. La ripresa è l’emblema: è tutta una prosa priva di senso, scandita da tocchi e tocchettini fini a se stessi, tutti distribuiti per vie orizzontali mentre la porta avversaria da miraggio diventava via via invisibile. Le velleità di rimonta trovano spazio solo sulla carta. Il campo ha detto tutto e niente, ma i suoi scarni contenuti sono solo il preludio al “terzo tempo” di mister Cristiano Lucarelli, lo scudo umano. Attacca ricamando elogi destinati al Siracusa e a Siracusa. Quasi vorrebbe evitare di parlare di calcio, ma la domanda presto o tardi arriva. “E Saitta titolare?” Lo show a quel punto si incendia, perché il tecnico getta la maschera e dice due o tre cose che avranno effetti collaterali incalcolabili ma certi. Spara a raffica. Parla di una rosa composta da alcuni calciatori “che non potrebbero giocare nemmeno in Eccellenza”. E di una stampa un po’ fighetta, che dovrebbe avere l’umiltà necessaria per dimenticare in fretta la Belle Epoque dell’era Franza, e calarsi completamente in una dimensione di calcio “pane e salame”. Sostanziata, giocoforza, da eventuali disfatte che vanno accettate anche se subite sui campi più periferici del regno calcistico italiano. Vedi Siracusa. Vedi Monopoli. Vedi Melfi. Osservazione, quest’ultima, con la quale si può essere anche parzialmente d’accordo.
NUMERI CONTRO – Ma al di là degli aspetti sociologici, e al netto di un’indiscutibile percezione di spettacolo extracalcistico che ogni conferenza di Lucarelli si porta dietro, un esercizio di realismo ci impone di valutare l’operato del tecnico basandoci sulla glacialità dei numeri: 11 partite, 11 punti. Media elementare di 1 punto a partita, assai vicina al trend di cui si è reso protagonista Sasà Marra, che di punti ne aveva ottenuti 7 in 9 partite. Due tecnici assai diversi. Per personalità, per indole, per filosofia tecnico-tattica. Però il cambio in regia, nei fatti, non ha spostato di una virgola un ruolino di marcia allarmante. Trend da retrocessione. Come negarlo: se da questi parti si lavorasse in un contesto normale, non ci strapperemmo i capelli se qualcuno chiedesse la testa del tecnico. Ma al momento, nei fatti, il contesto in cui opera l’allenatore del Messina è tutto fuorché normale. Sarebbe insensato, oggi, pensare di buttare la croce addosso all’allenatore: il problema non è il pilota, ma un motore poco performante.
LA QUESTIONE CENTRALE – Una rosa raffazzonata, illogica, abbondante sulla carta ma inadeguata nella sostanza. Un organico specchio di limiti gestionali smascherati da tempo, di errori in serie, un mosaico di impronte lasciate da chiunque in questi mesi abbia bussato alla porta del club. Per quanto detto, il tema non può essere liquidato ripiegando sulla frettolosa e banale “questione economica”, quindi sul limitato potere di spesa di cui dispone l’attuale proprietà. Il Messina, per intenderci, a Siracusa è stato surclassato da una squadra che ha un monte ingaggi complessivo di circa 700 mila euro, evidentemente inferiore a quello investito in casa giallorossa. Il problema non è di risorse, ma di capacità analitica nel capire come e dove allocarle, le risorse. L’ organico, quell’allegra trentina su cui si spreca l’ironia da mesi, non è frutto del caso: è la logica conseguenza di un vuoto di potere che aleggia in un club sulle cui scelte hanno inciso allenatori, d.s., procuratori, direttori generali fantasma, pseudo soci dell’ultima ora. La rosa è l’effetto di quanto detto, le sentenze del campo anche. Lucarelli, gettando la maschera, ha solo esternato quello che tutti sapevamo da tempo, facendo suo un titolo di un articolo apparso su questa testata meno di un mese fa: https://www.cornermessina.it/messina-sentenza-campo-rosa-inadeguata-10233. Articolo che ha fatto storcere il naso a qualcuno e che non ha risparmiato improperi irripetibili indirizzati al nostro umile quotidiano digitale. Non chiediamo un applauso, ma rivendichiamo semplicemente la nostra onestà intellettuale finalizzata esclusivamente al bene del Messina.
IN ATTESA DI RISPOSTE CONCRETE – In tal senso, ci piace chiudere con qualche domanda:
Dove si trova e di cosa occupa esattamente il d.g. Enrico Ceniccola?
Perché la casella di direttore sportivo è rimasta vuota?
Perché il Messina ha messo sotto contratto figurine mai scese in campo e non ha pensato di “promuovere” alcuni dei migliori prospetti del settore giovanile?
Perché, dopo l’accordo saltato con la d.s. Consulting, non si è provveduto ad affidare la responsabilità del ramo marketing ad altre agenzie o professionisti del settore?
Al di là dei risultati, come si pensa di poter attrarre i messinesi allo stadio senza una strategia di comunicazione esterna strutturata?
E infine. Chi fa gli interessi del Messina? Chi guarda in prospettiva e analizza i fatti con onestà intellettuale, o chi tende a insabbiare la realtà per evitare scosse telluriche all’ambiente?