Sul fondo. Impossibile fare peggio. Sciotto, Manfredi, Pitino e Auteri sono i protagonisti di uno scempio chiamato Messina 2022/23. Ultimo posto e nessun segnale di vita. Vince anche il Taranto, senza sudare e dimostrando che poco importi chi sia l’avversario perché, alla fine, i giallorossi sanno solo perdere.
IL GIORNO DELLA MARMOTTA – Una delle lezioni che Mario Sconcerti impartiva ogni lunedì sul Corriere della Sera era quella che storico, opinioni e numeri potessero convivere per spiegare al meglio la situazione di ogni singola squadra. Quasi in una mescolanza tra fede e scienza, tra ragione e sentimento. Modalità che, spesso, creava concetti per un punto di vista diverso, nuovo – non per forza condivisibile -, originale. Storico, opinioni e numeri sono gli ingredienti per condannare questo Messina a una sentenza definitiva: dilettanti. Non solo la categoria calcistica a cui paiono destinati, ma anche quella professionale visto quanto espresso in questa stagione. Fin qui, in questo girone d’andata. Punto di virata che segna la storica conquista del peggiore ruolino possibile. Gli 11 punti trovati al San Filippo – come è noto lontano da casa questa squadra è incapace anche solo di segnare – rappresentano una miseria che spiega la pochezza dei costruttori di questo fallimento sportivo. Premessa necessaria: la valutazione di questa prima parte di stagione non verrà mai cancellata, nemmeno da un girone di ritorno stile Catanzaro. Sia chiaro: non per mantenere il punto, ma per certificare che i succitati protagonisti non possano avere futuro a Messina. L’errore più grave che si possa commettere, infatti, sarebbe quello di dimenticare con estrema facilità. Barattando merito e dignità con un mero risultato sportivo. Non un eccesso di rancore, ma il successo del merito. L’analisi sulla stagione del Messina è stata scritta e riscritta, un infinito “giorno della marmotta” che ci obbliga a spiegare come la rosa sia mediocre e mal costruita, che le idee di Auteri siano fallaci e che l’organizzazione societaria non rappresenti al meglio il livello della Serie C. Continuare a martellare potrebbe sembrare capzioso, ma tacere non sarebbe corretto. Ruolo per ruolo, punto per punto, allora, è tempo di bilanci.
PITINO – Lavoro chirurgico quello del ds scelto e confermato da Sciotto. Arrivato lo scorso gennaio in un momento disperato, bravo – perché i preconcetti non devono esistere mai – nel comprendere i problemi della rosa dell’epoca e individuare cosa servisse. Occorreva personalità per una squadra di buon valore – ma che non doveva piacere a nessuno perché Argurio aveva la colpa originale di camminare a braccetto con Lo Monaco -, ma avvilita da gestioni tecniche pasticciate. Pitino trovò i tasselli giusti e Raciti-Cinelli fecero il resto. Storia recente e nota. Importante, però, sottolineare come il lavoro fu “facilitato” da una base su cui poter lavorare: Morelli, Celic, Carillo, Fazzi, Damian, Marginean, Russo, Gonçalves, Fofana, Adorante erano titolari della cavalcata salvezza e non erano, certamente, arrivati a gennaio. Nessun fenomeno, alcuni presenti nell’attuale rosa, ma calciatori di buon valore che necessitavano del carattere forte – soprattutto durante la settimana – dei Rizzo e Piovaccari. La valutazione sul lavoro di Pitino non poteva essere spogliata di queste premesse. Evidenze che andavano fortemente prese in considerazione quando si è deciso di affidargli il ruolo di “ricostruire” il Messina. Le volontà al risparmio di Sciotto erano chiare, così Pitino – insieme a Manfredi – hanno tirato fuori la garanzia di poter spendere la metà e conquistare una stagione tranquilla. Teorie da affidare, poi, all’altra faccia della stessa medaglia: Gaetano Auteri. Un progetto fragile e crollato quando la base rimasta iniziava a essere smantellata. Tutti, improvvisamente, guadagnavano troppo o non erano adatti al calcio di Auteri. E, ancora più improvvisamente, tanti di loro non volevano più stare a Messina. Quasi come bimbi capricciosi da accontentare, ma se uno ha un contratto… vabbè! Addio ai protagonisti della passata stagione in continuità con l’atavico vizio di Sciotto di non creare una base che desse la genesi a una parvenza di appartenenza. Pitino – con l’appoggio di Auteri – demolisce la rosa e conferma quelle che per Raciti erano terze o ultime scelte. Con loro ci sono Fazzi e Fofana che restano quasi sul groppone – e pure controvoglia – , così come Lewandowski a cui aggiungere la perla del “caso Celic”. Il croato guadagna troppo e non piace ad Auteri: resta fino a ottobre e va pagato, ma rimane fuori rosa mentre Camilleri cammina tra un problema muscolare e l’altro accompagnato da giovani che non possono fare la differenza. Celic non è Varane, ma in questo Messina sarebbe servito. Rescinde e, immediatamente, il Messina lavora per ingaggiare Antei – che non convince per condizione e spesa – perché un difensore esperto e forte serve come il pane. Basterebbe questo per presentare al ds la lettera di licenziamento. Il chirurgo Pitino mette in piedi una rosa senza un esterno sinistro: una priorità che diventa evidente quando – sempre in coppia con Auteri – si decide di tagliare Gonçalves per motivi più caratteriali che altro. Sull’umore ondivago di questi due protagonisti si basa, quindi, il fallimento Messina. Arrivano calciatori con uno storico fatto di retrocessioni e statistiche al ribasso. Curiale e Grillo dalla Vibonese, Marino dal Seregno e Iannone dalla Paganese per rimpinguare la rosa di calciatori appena retrocessi – non che sia una colpa o un marchio, ma è una statistica -, poi una miriade di riserve di squadre di terza fascia o giovani promettenti. Gli under, in fin dei conti, restano la cosa migliore di questa rosa costruita senza logica calcistica. Alcuni dei calciatori, poi, possiedono anche buone qualità ma non fanno squadra, come concetto. Il fallimento è rappresentato dai “pupilli” di Pitino: Camilleri ripescato dalla D per dare una mano lo scorso anno che diventa il capitano e punto di riferimento, Curiale inseguito e perso a gennaio – per fortuna – per poi tornare al centro del progetto nonostante una confidenza col gol totalmente assente. Con lui Grillo da sommare a un Balde diventato totem dell’attacco giallorosso. Attaccanti da zero gol. Orrori calcistici che negano l’evidenza di numeri che condannano questi calciatori all’anonimato. Il licenziamento di Pitino dovrebbe essere scontato, ma il ds di Modica pare supportato da forze superiori. Alte e mistiche. A dimettersi nemmeno ci pensa. Non sia mai.
AUTERI – La storia non gioca, figurarsi se allena. Quella del tecnico di Floridia sarà gloriosa, ma a Messina si giudica quello che si fa a Messina. Così come in ogni altra piazza. I ricordi sono buoni per le serate tra amici nelle feste. Auteri arriva con un biennale che pare fare rima con progettualità, ma i primi scricchiolii arrivano già in ritiro. Bocciato questo, costoso quell’altro. Arrivano calciatori che paiono distanti dai concetti espressi in passato dal tecnico, tanti giovani con cui pare evidente la distanza e lacune tattiche in ogni ruolo. Un tecnico spesso ingaggiato per vincere che si ritrova a dover lottare per salvarsi con una rosa giovane e diversa da quelle da lui allenate in carriera. Ne scaturisce, anche, un rapporto non sempre idilliaco tra le parti. Le prime settimane di calcio non sono drammatiche, perché questo Messina mostra un minimo di idee e identità. Un problema sovrasta tutti: l’incapacità di correggere i difetti. Gli errori vengono sempre sottolineati e descritti, mai corretti. Aumentano e si sommano, con Auteri che si perde nel suo disco rotto della risolutezza offensiva e delle leggerezze difensive. Nessuna pezza, solo il mischiare continuamente uomini e moduli. Un paio di mosse funzionano anche – quella di Fiorani contro il Monterosi -, ma la deriva porta a trasformare un’eccezione in regola. Rosa carica di carenze che inviterebbe a semplificare. Auteri, invece, complica restando fermo sulle sue convinzioni tattiche con un oltranzismo che non è più comprensibile. Non solo nei moduli, ma anche nelle richieste. Palese, infatti, che questa squadra non possa far molto più di difesa compatta e contropiede. I difensori non hanno qualità per costruire, il centrocampo non può palleggiare e l’attacco può solo correre ma mai e poi mai creare superiorità grazie alla tecnica. Segnare è solo un sogno infantile. Auteri si perde nelle cervellotiche interpretazioni, quando ha finito gli argomenti si scaglia pure contro chi contesta. Vittimismo immotivato e lezioni di tifo non richieste. Il suo licenziamento sarebbe dovuto arrivare qualche settimana dopo quello di Pitino – che andava cacciato dopo Andria -. Anche per lui le dimissioni non sono previste, la scusa è quella di non voler abbandonare la nave che affonda ma pesa molto più un bel biennale. Anzi, i soldi fino a giugno. Perché, sia chiaro, in caso di retrocessione gli accordi per il 2023/24 andranno a farsi benedire.
SCIOTTO E MANFREDI – Capitolo più complicato del previsto quello che passa dalle cose di campo a quelle di scrivania. Le responsabilità del dg Manfredi sono più sfumate e difficili da riferire al campo. Resta, però, evidente la sua convinzione nel poter costruire una stagione frutto di risparmi e introiti teorici. Impossibile, perché il campo risponde a logiche di qualità che questa progettualità non può offrire. Assente un piano marketing concreto – perché il Messina non vende le sue magliette? -, con l’emblema di una squadra scesa in campo per settimane con una maglia nera eredità dello stock della precedente stagione. Quando arrivano prima e seconda maglia le cose non vanno meglio: sulla prima c’è una questione estetica che può rimanere opinabile, sulla seconda c’è un problema storico. La maglia rossa del Messina al massimo è bordata di giallo oppure con una fascia orizzontale gialla. Non avendo l’imposizione – legata a contratti milionari – che i grandi fornitori applicano a club come Milan, Inter o Juventus, allora, un pizzico di storicità sarebbe gradita. Sembrano dettagli, ma non lo sono perché allentano la morsa del senso di appartenenza. Ovvio, non è il dg Manfredi a disegnare le divise da gioco, ma in sede di interlocuzione con lo sponsor tecnico un paio di indicazioni potrebbero essere date. Soprattutto se, come detto, non ci siano accordi milionari alla base di tutto. Ci sarebbe la questione dei led mai funzionanti e abbandonati sul suolo di un San Filippo sempre più alla deriva. Argomento – quello del terreno di gioco – da dividere con il Comune, ma qui serve mettere sul tavolo le affinità politiche che intercorrono tra la famiglia Sciotto e l’amministrazione. Messina Servizi presenta un manto erboso che porta a due diffide della Lega Pro e il Messina abbozza. Bene, bravi, 7+. A proposito di Sciotto – che non è il titolo di una commedia grottesca -, il presidente diventa il centro di tutti i problemi e soluzioni. Sì, perché da lui dipendono le scelte fatte in questa stagione e a lui sono legate le prossime mosse. Il suo silenzio è diventato da triste ad antipatico, non tanto per noi ma per una tifoseria che vorrebbe sentire cosa sia previsto per il futuro del Messina. Ferito dalla contestazione, ma questo è un carosello che va in onda da 6 anni. La parentesi della promozione non basterà mai, visto un rapporto mai nato. La storia ci aiuta: era l’8 ottobre del 2017 quando il suo primo Messina perdeva per 1-2 in casa contro l’Acireale. Contestazione che prendeva forma visti i 2 punti conquistati nelle prime sei partite. Sciotto abbandona il terreno di gioco – all’epoca seguiva le partite dalla panchina – rispondendo ai cori della Curva Sud. In serata, poi, arriverà la sua lettera di dimissioni – mai avvenute – dal ruolo di presidente. Storia di un rapporto mai nato, che mai riuscirà a vivere. Società in vendita lo scorso anno, poi non più, poi chissà. Offerte che prendono forma solo in maniera effimera. Nel calcio, e soprattutto a Messina, acquistare una società pare avere lo stesso peso specifico di un segreto di Stato. Trattative carbonare, misteriose, perché sennò chissà che può succedere. Che dovrebbe mai succedere? Se al tavolo si siedono persone perbene si può fare tutto alla luce del sole. Chi vuol vendere chiami un advisor competente, chi vuol acquistare presenti un’offerta chiara e si esponga con nomi, cognomi e un paio di pezze d’appoggio quali ultimi bilanci e riferimenti fisici e multimediali. Nulla di strano, la normalità. Non serve riservatezza blindata visto che non si tratta nemmeno di società quotate in Borsa. Basta prenderci in giro.
PROVA MEDIOCRE – Della partita si parla anche oggi, perché la vittoria del Taranto non è caduta dal cielo. Messina schierato con un 4-3-3 logico ma afflitto dalla solita carenza di idee. La squadra di Auteri (voto 4) non ha uno straccio di strategia e vivacchia con palloni sparati addosso agli attaccanti. Ngombo copre e protegge, non gioca neanche malissimo ma dura un tempo. Auteri lo tira fuori per un Zuppel che si impegna e basta. Non sono loro il problema. Più incidente il rendimento inesistente di Catania e Grillo: l’ex Vibonese è campione del mondo nello schivare le responsabilità. Si crogiola in un paio di dribbling tentanti e non riusciti, ma non è mai decisivo. Mai. Il Taranto passa tre minuti a capire la sonata, poi prende campo e domina. Uno-due e se Capuano avesse osato di più dal punto di vista tattico sarebbe arrivato anche il terzo gol. Auteri butta dentro quello che è rimasto in panchina, ma non trova più nulla da un gruppo così svuotato. Anche scaricato viste le parole di condanna del dg Manfredi nel post Picerno. Il gol annullato a Catania diventa esercizio di pignoleria di Lovison, avrà ragione anche lui. Alla fine questo Messina non sa nemmeno stare in barriera. Segna Versienti per la statistica e basta, perché il Taranto trema una manciata di secondi prima di serrarsi e non soffrire. Messina che non sa farsi trascinare neanche dai nervi, probabilmente perché l’aspetto mentale è più carente di quello tecnico. Gennaio alle porte, prima ci sarà Crotone. Una volta espletata la pratica dello Scida, però, si entrerà nelle settimane del mistero. Che accadrà? Esoneri, dimissioni, conferme, cessione della società, semplice calciomercato o bandiera bianca e nessuna rivoluzione? Fortunato chi vi capisce.
Lewandowski 4: gravissimo lo svarione che apre la porta al vantaggio tarantino. La lunga serie di questa tipologia di errori – di tutti i protagonisti – sono alla base di questa classifica.
Konate 4: inadatto al ruolo di terzino sia per tecnica che per letture tattiche. Esperimento fallimentare di Auteri.
Berto 4: bruciato da Tommasini in occasione della prima rete. Non è un marcatore e soffre spesso nel corpo a corpo.
Trasciani 5: meno peggio di altri per quella solita vena di grinta assente in tanti altri.
Versienti 6: una bellissima rete e un atteggiamento meno arrendevole rispetto ai compagni.
Marino 4: gioca solo un tempo e lo infarcisce di tocchi filtranti impossibili da recapitare visto il muro di avversari davanti. (dal 1′ s.t. Napoletano 4: un tempo intero senza lasciare tracce)
Mallamo 4,5: troppe giocate forzate, qualche fallo inutile e la perenne sofferenza sulle giocate avversarie. (dal 33′ s.t. Iannone s.v.)
Fofana 4: una marea di errori in fase di possesso, quando difende si becca un giallo gratuito e perde la possibilità di lottare con maggiore grinta.
Grillo 4: niente, mai visto. (dal 33′ s.t. Fiorani s.v.)
Ngombo 5: non fa malissimo nel difendere palloni e provare a far salire la squadra. I compagni lo servono solo spalle alla porta e incide pochissimo. Sostituzione, comunque, poco comprensibile. (dal 1′ s.t. Zuppel 4,5: si impegna, lotta, fa a sportellate ma non produce molto più dei compagni)
Catania 4,5: invisibile fino a quando non scarica in rete una punizione dal limite poi annullata. Per il resto non si fa notare mai.
TARANTO Vannucchi 6; Evangelisti 6, Antonini 6, Formiconi 6 (dall’11’ s.t. Manetta 5,5); Mastromonaco 6,5, Romano A. 6,5, Labriola 6,5 (dal 27′ s.t. Brandi s.v.), Mazza 6 (dal 1′ s.t. Provenzano 6), Ferrara 6; Romano G. 6 (dal 16′ s.t. Guida 6); Tommasini 6,5. All. Capuano 6,5