Perché a Messina (e non solo) il calcio è una cosa seria

Pubblicato il 26 Aprile 2025 in Primo Piano

Quando il Messina perde, una parte della città perde con lui. Quando retrocede, è un pezzo di identità cittadina che scivola in un campionato minore. Quando rischia di scomparire non è soltanto una società sportiva a essere in pericolo, ma un patrimonio collettivo di memorie, simboli e appartenenze.

LO STADIO COME SPAZIO RITUALE – Eppure, per una certa cultura intellettuale, tutto questo non dovrebbe essere preso sul serio. “È solo calcio”, dicono in troppi. Ma cosa significa questo “solo”? Il paradosso è evidente: una squadra che porta il nome della città – letteralmente Messina, nel nostro caso – viene considerata marginale nella vita cittadina da chi pretende di interpretarne l’essenza culturale. Come se il nome stesso non rivelasse già un patto simbolico fondamentale: questa entità sportiva rappresenta tutti noi, porta il nostro nome nel mondo, incarna le nostre aspirazioni collettive. Quando diciamo con naturalezza “il Messina ha vinto” o “il Messina è in difficoltà”, stiamo usando una metonimia che rivela una verità profonda: la squadra è un’estensione della comunità, non un’entità separata. L’antropologia contemporanea ha teorizzato la distinzione tra “luoghi” e “non-luoghi” nella società contemporanea. I “luoghi” sono spazi densi di significato, carichi di storia e relazioni, dove una comunità riconosce sé stessa. I “non-luoghi” sono invece spazi anonimi di transito o consumo – centri commerciali, aeroporti, catene alberghiere – privi di identità specifica. In questa dicotomia, lo stadio rappresenta uno degli ultimi autentici “luoghi” rimasti nella città moderna. Il San Filippo, con tutti i suoi limiti strutturali, quindi, non deve essere considerato soltanto un impianto sportivo, più uno spazio rituale dove la comunità si ritrova e si riconosce. Qui generazioni diverse condividono un’esperienza comune, qui le distinzioni sociali si attenuano temporaneamente, qui si materializza un senso di appartenenza che diventa sempre più raro nella frammentazione contemporanea. Quando migliaia di persone cantano insieme, esultano insieme, soffrono insieme, non stanno semplicemente assistendo a uno spettacolo: partecipano a un rito collettivo che rafforza i legami comunitari.

CAPITALE SIMBOLICO E DISTINZIONE CULTURALE – In sociologia si dice che i gusti culturali non siano mai innocenti, ma che funzionino come marcatori di distinzione sociale. Definire il calcio come “non serio” o “irrilevante” è spesso un’operazione di distinzione: certi gruppi sociali affermano la propria superiorità simbolica provando a classifica e relegare le passioni popolari nell’ambito del “triviale”. Ma questa è un’analisi superficiale che non coglie la complessità del fenomeno calcistico. Il calcio – soprattutto quello locale – rappresenta un capitale simbolico collettivo che attraversa le divisioni sociali. È uno dei pochi linguaggi comuni rimasti in una società sempre più segmentata in tribù culturali separate. Nello stesso stadio, nella stessa curva, troviamo l’avvocato e l’operaio, l’anziano e l’adolescente, uniti da una passione che trascende le loro differenze. Questo valore di connessione sociale è tutt’altro che triviale in un’epoca di crescente atomizzazione.

LA SQUADRA COME ARCHIVIO DI MEMORIA COLLETTIVA – Ogni squadra di calcio locale è un archivio vivente di memoria collettiva. Il Messina non è solo una formazione che scende in campo la domenica, ma un deposito di storie condivise che si tramandano di generazione in generazione. I derby con il Catania e i gol di Marra e Sullo, la storica promozione in Serie A, la vittoria contro il Milan di Ancelotti, ma anche le delusioni, i fallimenti, le rinascite – tutto questo costituisce un patrimonio narrativo che appartiene alla città intera. Quando una squadra rischia di scomparire, o quando precipita nei campionati minori, non perdiamo semplicemente un intrattenimento domenicale, ma un pezzo significativo di continuità storica. Si interrompe una narrazione collettiva che contribuisce a definire chi siamo come comunità. Non è un caso che nelle città dove la squadra principale è fallita, la prima preoccupazione sia sempre stata quella di salvare il nome, i colori, la storia – gli elementi identitari che legano il club alla comunità.

L’ECONOMIA SIMBOLICA OLTRE QUELLA MATERIALE – Certamente, una squadra di calcio ha anche un impatto economico tangibile sul territorio. Genera posti di lavoro, movimenta l’economia locale durante le partite, può attirare turismo sportivo. Ma ridurre la questione alla sola dimensione economica significa non comprendere che esiste un’economia simbolica parallela, altrettanto reale e importante. Il calcio locale produce beni immateriali di valore inestimabile: senso di appartenenza, coesione sociale, identità collettiva, continuità storica. Quando una comunità perde la sua squadra, o la vede precipitare nell’irrilevanza, subisce un impoverimento che non può essere misurato solo in termini di bilanci o fatturati, ma che incide profondamente sul suo benessere collettivo.

IL CALCIO NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE – L’era della globalizzazione ha trasformato profondamente il calcio, creando una frattura sempre più netta tra i mega-club globali e le squadre locali. I primi sono diventati corporation transnazionali con tifosi in ogni angolo del pianeta, i secondi mantengono un legame organico con il territorio di riferimento. In questo scenario, il calcio locale assume un valore ancora maggiore come presidio di identità specifica in un mondo sempre più omologato. Sostenere il Messina oggi – in un’epoca in cui sarebbe più comodo tifare per una “grande” o addirittura Real Madrid o Liverpool comodamente dal divano – è un atto di resistenza culturale. Significa scegliere un’appartenenza radicata nel territorio contro la seduzione dell’entertainment globale. Significa privilegiare un legame autentico, fatto anche di frustrazioni e delusioni, rispetto alla gratificazione facile del tifo a distanza.

PRENDERSI CURA DI CIÒ CHE CI RAPPRESENTA – Quando una squadra porta il nome della città, la sua salute sportiva e societaria dovrebbe essere considerata una questione di interesse pubblico. Non si tratta di privilegiare il calcio rispetto ad altre espressioni culturali, ma di riconoscere che lo sport più popolare costituisce un elemento significativo dell’identità collettiva, uno spazio di aggregazione insostituibile, un patrimonio simbolico che appartiene all’intera comunità. Il destino del Messina non è “solo” una questione calcistica, ma riguarda il modo in cui la città si percepisce e si rappresenta. Riguarda la possibilità di condividere un’appartenenza comune in un’epoca di frammentazione sociale. Riguarda la trasmissione di una memoria collettiva che contribuisce a definire chi siamo. Forse è proprio questo il punto: il calcio non è “una cosa seria” solo se consideriamo “serie” esclusivamente le questioni materiali ed economiche. Ma se includiamo nella nostra definizione di serietà anche i bisogni simbolici, identitari e comunitari, allora poche cose sono più serie di una squadra che porta il nome di una città intera e ne rappresenta le speranze, le ambizioni e talvolta – purtroppo – anche le difficoltà.

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