Da una parte i disastri in campo, quelli legati alla gestione Capuano. Dall’altra le stonature continuate tra proprietà e dirigenza. Silenzi che lacerano e parole – quelle di Sciotto – che sanno di sofferenza. Scenario sovraccarico, anche eccessivamente, perché il campionato va avanti e mantenere lucidità resta fondamentale.
MANCATA RAZIONALITÀ – Le questioni extra campo dovrebbero prendere il sopravvento. E, invece, no. Perché è proprio quello che accade sul terreno di gioco a inasprire rapporti, appesantire i cuori – quello del presidente per primo – e condannare il Messina all’ultimo posto. Non solo la sconfitta contro la Turris – sulla quale, nel dettaglio, c’è pochissimo da dire -, che diventa macroscopico esempio, ma che rimane passaggio finale di un percorso inadeguato. Troppo facile buttarla sempre in caciara, cancellare il vergognoso spettacolo messo in scena con colpe da dividere in maniera quasi atavica. Brutto vizio – tipico di queste latitudini – quello di mettere tutto in discussione quando le cose si inclinano dal verso sbagliato. Nessuna lucida analisi, nessuna corretta presa di coscienza e volontà di reagire. Tutto un dramma, tutto sul ciglio del burrone. E tutti sul baratro, ma più con emotività che con ragione. Errori che si sommano, ma che hanno la matrice comune del campo. Quello in cui il Messina è la squadra più banale, scolastica, scontata, brutta e insipiente dell’intero campionato. Non da sempre, perché quella di Sullo era assidua all’errore fatale, ma spensierata offensivamente e capace di far male anche ad avversari come Palermo, Monopoli e Foggia. L’ex capitano ha pagato la sua insistenza nel non voler smussare gli angoli, nel non voler correggere le carenze. La toppa è stata peggio del buco, come ampiamente prevedibile, ma il momento delle rivendicazioni non è mai utile a nessuno. Il calcio non si improvvisa o inventa. La storia di Capuano era nota – sia per il campo che per il fuori campo -, in maniera così palese che il solo aver pensato di poter intrecciare le sue visioni calcistiche a questa rosa rappresenta una delle illusioni più marchiane mai viste. Impossibile per Capuano incidere, realmente, su una squadra troppo fragile e bisognosa di un vero e proprio educatore calcistico. Quello che ha provato a essere Sullo, coi limiti descritti prima. Cambiare era lecito, ma tra correggere e stravolgere passa un mondo di differenze che la dirigenza giallorossa ha preferito ignorare. Qualche onda positiva per Capuano: tra Potenza dove i rimasugli di calcio offensivo erano ancora presenti, fino al Campobasso con una gara che ha ingannato. Pura illusione quella di un Messina davvero conscio e diretto sulla strada della maturità. Facilitato dall’aver incrociato i molisani all’inizio del loro periodo nero, ma incapaci nel cavalcare la positività. Tutto in un gorgo, tutto in fase di distruzione interna. Cali, poi crollo. La lista delle scuse, con quella sistematica retorica del premettere di non cercare scuse, poi via a un profluvio di lagnanze. Magari reali, ma se perdeste qualche minuto vedreste come tutte le 20 squadre – chi più e chi meno – hanno pagato problemi e difficoltà. Decadenza sistemica, trascurata per vili diatribe interne e Capuano confermato a ogni sconfitta. Non ne sono bastate quattro in fila, al momento – quello in cui scriviamo – non è servita neanche quella umiliante di Torre del Greco. Verrebbe quasi da difenderlo Capuano, però, perché non è stato lui a prendersi militarmente la panchina del Messina. È stato scelto, è stato chiamato. Colpe e responsabilità che dovrebbero prendersi i diretti interessati.
PRETENDERE BELLEZZA – Squadra scarsa? Può darsi. Scaricare tutto sulla rosa, però, sembra la classica reazione emotiva. I calciatori messi insieme dal ds Argurio non sono – nella totalità – all’altezza del campionato e del peso di una corsa salvezza. Una colpa, senza grosse possibilità di appello. Totalità è la parola chiave, perché restano presenti elementi di categoria e capaci. I calciatori, però, vanno allenati, addestrati, guidati. Sullo ci stava provando, ma non ci stava riuscendo. Capuano nessuna delle due cose, almeno questo sta dicendo il campo. Non la critica, non i tifosi incazzati, ma il campo. Quello che questo Messina non sta rispettando, come non viene rispettato il calcio nelle sue dinamiche e regole non scritte. Il calcio è in continua evoluzione, quello che è giusto oggi non funzionerà domani. Aggiornarsi, lavorare, restare al passo. Dalla Serie A, dove le cose più belle le fanno vedere Andreazzoli e Italiano, fino a questa Serie C dove la Turris propone gioco e diverte tutti. Dove il Picerno pesca Colucci – allenatore che in carriera vanta una media reti di tutto rispetto – per risolvere un problema offensivo evidente. Un girone in cui Sottili sveglia la Juve Stabia o Vivarini normalizza il Catanzaro. Non esistono battaglie di concetti, non è una questione di questo o quel calcio, di bel gioco o pragmatismo. No, si tratta di rispetto per il calcio, si tratta di saper proporre, di sapersi evolvere. Si tratta di avere un piano che vari dal “difesa a oltranza e poi lanciamo su Catania che è veloce”. Il Messina di Capuano (voto 3), invece, non ha nulla se non la speranza di recuperare palla e innescare qualche esterno veloce. Non gioco, non idee. Lo rivelano le scelte, quelle che premiano Konate o Fofana rispetto a Damian. Quelle che preferiscono perdere Simonetti a centrocampo per adattarlo in un ruolo non suo. Quelle che bocciano Baldé per un Catania o un Russo mai veramente all’altezza. Messina – qui parliamo di città e del suo rapporto col calcio – non è questa. Messina è la città di Buonocore, di Catalano e Franco Caccia. Messina ama le squadre di carattere, ma vuole godersi il bello. Sa apprezzare e amare Carmine Coppola, ma si esalta per una finta di Iliev o un tiro al volo di D’Agostino. Il Messina delle cavalcate di Aliotta era una squadra tipicamente solida, ma c’era Enrico Buonocore col suo numero 10 e quel sinistro che profumava di Argentina. Un discorso da scaricare su chi ha costruito la squadra, direte voi. Quasi corretto. Perché oltre alle giocate dei giocatori c’è il gioco, quello che sa andare oltre ai nomi. Quello legato agli allenatori. Non a caso, infatti, Messina è la città di Zdenek Zeman. L’identità non va mai tradita, non va mai calpestata. Il primo obiettivo della tifoseria è la salvezza, ma questa resta una piazza che va coinvolta anche attraverso la bellezza. Quanto proposto dalla gestione Capuano non potrà mai convincere Messina: una tifoseria che sa rendere merito al lavoro ed esultare per le vittorie anche sporche o brutte, ma non una piazza che si accontenta.
Lewandowski 5: ne prende cinque, in un paio di occasioni avrebbe dovuto fare di più e meglio.
Simonetti 4,5: il tecnico lo sballottola da una fascia all’altra rinunciando, così, a un centrocampista vero. Lui si adatta, ci prova, ma gli avversari sono troppo forti.
Celic 4: sempre fuori posizione, in ritardo, lentissimo. Esce all’intervallo. (dal 1′ s.t. Rondinella 4: da quella parte la Turris presenta una contraerei, lui non può reggere)
Carillo 4: balla come tutti, Santaniello fa quello che vuole.
Mikulic 4: come i compagni di reparto, non trova mai le misure agli avversari. (dal 33′ s.t. Fantoni sv)
Fazzi 4: può solo rincorrere, ma non arriva mai.
Catania 4: non all’altezza della categoria, troppo acerbo e ingenuo nelle scelte. (dal 14′ s.t. Distefano 4: come il compagno, campionato di un livello troppo alto)
Konate 4: non trova mai il giusto posto in campo, asfaltato da Tascone e Franco. (dal 1′ s.t. Damian 5,5: voto simbolico, perché la sua tecnica è la cosa meno brutta della giornata. La sua panchina non ha senso, indipendentemente dalla condizione fisica)
Fofana 4,5: ci capisce pochissimo e non regge l’urto della mediana avversaria.
Russo 4: come altri non mostra il livello che questo campionato richiede. Mai una scelta giusta. (dal 1′ s.t. Baldé 5: fuori per scelta tecnica, difficile da capire. Prova a sparigliare, ma è già finita)
Adorante 4,5: poche colpe, perché la squadra non sa attaccare. Può solo provarci, ma si arrende presto.
TURRIS Perina 6; Manzi 6,5, Lorenzini 6,5, Esempio 7; Finardi 6, Tascone 6,5, Franco 7 (dal 37′ s.t. Iglio sv), Varutti 7 (dal 24′ s.t. Loreto 6,5); Giannone 7 (dal 37′ s.t. Pavone sv), Santaniello 8 (dal 43′ s.t. D’Oriano sv), Leonetti 6,5 (dal 24′ s.t. Bordo 6). All. Caneo 7,5
*foto copertina: Acr Messina – Facebook ufficiale